La musica pop ha riscoperto Dio

In LUX, l’ultimo album di Rosalìa, i rimandi religiosi sono ovunque. La copertina del disco la ritrae con labbra dorate, una sorta di camicia di forza, e un velo bianco che lascia intravedere i capelli. Un’immagine da reliquia, ma anche nei brani non mancano i riferimenti alla religione. In Mio Cristo piange diamanti, traccia cantata in italiano, l’artista racconta il suo rapporto con Dio: «Mio Cristo, piange diamanti / Piange, piange diamante / Mio Cristo in diamante / Ti porto, ti porto sempre». Al Guardian ha detto che se non fosse diventata una cantante avrebbe studiato teologia o filosofia, che prega ogni sera e che la sua relazione con Dio è «molto personale».
Ma Rosalìa non è sola: la fede sembra tornata pop. Beautiful Things, il brano del cantautore statunitense Benson Bone che si è posizionato al primo posto delle Top Charts del Regno Unito, rimanendo in testa alle classifiche anche grazie alla viralità raggiunta su TikTok, è stato il singolo più venduto a livello mondiale del 2024, vincendo l’IFPI Global Single Awards. Nel testo della traccia, Bone chiede a Dio di rimanere con lui, raccontando di come la sua vita sia cambiata in meglio dopo aver riscoperto la fede. «I found my mind, I’m feelin’ sane / It’s been a while, but I’m findin’ my faith / If everything’s good and it’s great». Bone ha ricevuto un’educazione mormone, legata alla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, di cui ora però dice di non fare più parte.
Ordinary, il brano di Alex Warren pubblicato il 7 febbraio 2025, è diventato la hit più longeva di sempre: si è posizionato al primo posto di Pop Airplay di Billboard, e ci è rimasto per un tempo record di quindici settimane, spodestando il brano The Sign, del gruppo svedese Ace of Base, uscito nel 1994. Nel brano di Warren sono molti i riferimenti alla religione, e soprattutto alla sua simbologia e ritualità. L’artista parla di acqua santa, di altari, dell’atto di baciare la terra come se fosse un santuario, dell’essere argilla nelle mani di uno scultore. Il cantante e youtuber statunitense non si definisce credente, nonostante abbia ricevuto un’educazione cattolica impartitagli principalmente dal padre malato. «Quando si sta morendo si tende ad avere un atteggiamento più religioso, perché si sa cosa sta per succedere», ha raccontato al Guardian. Nell’intervista spiega di essere cresciuto ascoltando musica legata ai culti religiosi, e di essere stato influenzato soprattutto dal rock cristiano e da band come i Coldplay.
E ancora, a inizio settembre 2025 Justin Bieber pubblica Swag II, un album che in molti hanno definito “spirituale”, e in generale molto diverso dalla sua produzione precedente. Molti parlano di una fede ritrovata: snocciolando le tracce dell’album ricorre infatti la presenza di un costante dialogo con Dio. Nella traccia Safe Space, per esempio, Bieber parla del figlio facendo molti riferimenti a Gesù; mentre in Story of God – l’ultima traccia dell’album, della durata di otto minuti – l’artista canadese ripercorre la storia di Adamo ed Eva, concludendo il brano con un riferimento al versetto della Genesi 3:15, promettendo un Salvatore che schiaccerà la testa del serpente. Il versetto viene interpretato come la promessa di una futura vittoria del bene sul male. Secondo il Cosmopolitan, Story of God sarebbe stata scritta insieme al pastore della sua Chiesa di riferimento.
C’è anche Daddy Yankee, che nel 2022 aveva annunciato il suo ritiro dalla scena musicale. Dopo essersi convertito al cristianesimo, l’artista portoricano è tornato, con l’obiettivo di diffondere il verbo del Vangelo attraverso la cultura pop. «Non posso semplicemente convertirmi e restare in silenzio – dice a Billboard –. Non si tratta semplicemente di fare musica cristiana; la sfida è rendere il Regno parte della cultura pop».
Il fenomeno ha interessato anche l’Italia, per esempio con artisti come ThaSupreme e Mara Sattei, che nel dicembre 2024 hanno pubblicato l’album Casa Gospel, un disco registrato in studio e che attinge molto a influenze musicali legate alla tradizione protestante. I due provengono da una famiglia protestante evangelica, e il primo contatto con la musica gospel lo hanno avuto proprio tra le mura di una chiesa. Dopo aver sperimentato con generi diversi, i due riscoprono il gospel. «Per me la fede è la cosa più importante della vita soprattutto in un periodo complicato dal punto di vista valoriale e di piattume emotivo come quello che viviamo: si ricerca il proprio essere e si finisce nella solitudine – racconta Mara Sattei al Corriere –. Questo disco parla di spiritualità. E la musica ha dentro una spiritualità che permette di connettersi con qualcosa di più grande. Da noi questo tema non è ancora sdoganato, ma Justin Bieber apre il concerto con un versetto biblico sui megaschermi. La religione non deve essere qualcosa di verticale ma di apertura e valori, una serie di input per superare periodi brutti».
Secondo il Midyear Music Report 2025 di Luminate – azienda che analizza dati e realizza approfondimenti sul mondo dell’intrattenimento –, la musica cristiana è uno dei generi in più rapida crescita negli Stati Uniti, insieme al R&B e all’hard rock. Il report non si riferisce a brani dai riferimenti vagamenti spirituali, ma a un tipo di musica esplicitamente incentrata su Gesù, ormai diventato protagonista di playlist, reel, viaggi in auto e sessioni in palestra. «La musica cristiana sta vivendo un boom silenzioso, grazie a una fanbase più giovane e orientata allo streaming, composta per il sessanta per cento da donne e per il trenta per cento da Millennial – si legge nel report –. Questo pubblico è il novanta per cento più propenso a scoprire canzoni tramite playlist, mentre il settantacinque per cento dichiara di ascoltarle ripetutamente». Sempre secondo alcuni dati di Luminate il numero di ore trascorse ad ascoltare musica cristiana o gospel è aumentato, passando da 47,9 ore nel 2022 a 56,8 ore nel 2024: un aumento del diciannove per cento.
Oggi, le classifiche musicali sembrano aver riscoperto Dio. A guidare questo ritorno alla fede sono soprattutto i più giovani. Secondo uno studio riportato in un articolo del The Times, infatti, i membri della Generazione Z durante l’adolescenza avrebbero meno probabilità di definirsi “atei” rispetto ai loro genitori e ai loro nonni. Sarebbero infatti i più giovani a definirsi più “spirituali” rispetto ai più grandi, mentre i meno credenti sarebbero i membri della Generazione X, cioè le persone di età compresa tra i quarantacinque e i sessant’anni. Il New York Times sottolinea come la generazione Z stia guidando una rinascita dell’interesse religioso, guidato perlopiù dalla popolazione maschile e orientato in particolare verso il cristianesimo conservatore, mosso da sentimenti di ansia e dalla ricerca di uno scopo e di una comunità.
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