La pace dopo la tempesta, e altre tragedie del Medioriente (e nostre)

Ottobre 10, 2025 - 23:30
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La pace dopo la tempesta, e altre tragedie del Medioriente (e nostre)

La pace in Medioriente è la notizia che aspettiamo da prima ancora di nascere, ma ammesso che adesso la pace arrivi davvero, grazie nientemeno che a Donald Trump, ci sarebbe comunque poco da festeggiare dopo una tragedia immane come quella del sette ottobre e di Gaza, e il tentativo reciproco, in parte realizzato, di fare pulizia etnica dell’avversario.

Il rilascio degli ostaggi del sette ottobre, la fine dei bombardamenti sulla Striscia, la libera circolazione degli aiuti umanitari per la popolazione intrappolata nella guerra, e i progetti di ricostruzione di Gaza finalmente mondata da Hamas, sono comunque notizie formidabili, capaci di superare il pregiudizio sui protagonisti e lo scetticismo sulla reale esecuzione del piano e sulle conseguenze di lungo periodo che potrebbe scatenare, ma non sono sufficienti a moderare l’indignazione globale per ciò cui abbiamo assistito.

Ma se perfino Hamas, oltre ai già convinti paesi arabi, è d’accordo sul processo di pace, mentre solo gli estremisti della destra israeliana, della teocrazia iraniana e dei talk show italiani mostrano il muso imbronciato, c’è poco da fare gli schizzinosi sul progetto apparecchiato dagli agenti immobiliari di Donald Trump. C’è certamente da diffidare delle intenzioni, delle motivazioni e degli interessi neppure troppo nascosti di Trump, e anche della sua capacità di dare seguito al processo di pace ai primi possibili inciampi, ma a tragedia compiuta sono dettagli di fronte alla liberazione degli ostaggi israeliani e alla fine dei bombardamenti sui civili palestinesi.

La pace a Gaza, se regge, è un gran risultato, anche se i crimini di Hamas e di Netanyahu non si potranno cancellare, anche se a Washington sorgerà un obelisco per celebrare la gloria dell’aspirante dittatore Donald Trump.

Rimane più di qualche dubbio sull’effettivo successo dell’operazione pacifico-immobiliare della Casa Bianca, perché non stiamo parlando di un vero trattato di pace tra due schieramenti, Israele e Hamas, ma di una capitolazione umiliante con annessa dichiarazione di resa da parte di Hamas e della leadership palestinese, compresa l’Autorita nazionale palestinese, esclusa dal tavolo sul futuro della Striscia che anziché restituita ad Abu Mazen sarà occupata dai paesi arabi, dagli immobiliaristi americani e del Golfo, senza alcuna concreta garanzia sulla nascita dello stato di Palestina.

La fine della tragedia di Gaza e degli ostaggi del sette ottobre val bene la carnevalata di Trump sedicente beato e costruttore di pace, ma con ancora più sofferenza e maggiore imbarazzo bisogna riconoscere che è stata la guerra senza pudore di Benjamin Netanyahu a creare, a un costo di vite umane spaventoso e ingiustificabile, le condizioni per l’accordo di Sharm el Sheikh.

Spiace ammetterlo, ma si è arrivati alla decisione sullo scambio di prigionieri e sulla fine della guerra a Gaza perché Hamas è stato ridimensionato militarmente, e i suoi alleati in Iran, in Libano, in Siria e in Yemen sono stati indeboliti con azioni militari e di intelligence senza precedenti, mentre il Qatar è stato convinto da un altro bombardamento israeliano a Doha a non rischiare la pelle per Hamas, con cui invece aveva progettato di far saltare con l’attacco del sette ottobre gli Accordi di Abramo tra gli altri paesi arabi e Israele, per inseguire l’ambizione funesta di guidare il mondo musulmano sunnita che non voleva accettare l’idea di fare la pace con Israele.

Col Qatar umiliato in casa nonostante la protezione americana, i vertici dei Pasdaran iraniani e degli Hezbollah libanesi azzerati da due incredibili operazioni di intelligence del Mossad, e il cambio di regime a Damasco facilitato dai missili israeliani, i tagliagole di Hamas hanno perso la protezione nella regione, mentre i paesi arabi che avevano scelto la strada della pace con Israele siglando gli Accordi di Abramo si sono assunti la responsabilità di gestire in futuro i territori palestinesi della Striscia che già avevano occupato nel 1948 (fino al 1967) per impedire la nascita dello Stato palestinese decisa dalle Nazioni Unite, e quindi muovere guerra contro il nascente Stato ebraico.

Il fallimento dell’operazione militare di Hamas, sostenuta da Iran e Qatar, ha consentito alla leadership estremista di Israele di perseguire la pulizia etnica a Gaza e di eliminare a uno a uno i nemici della regione, senza curarsi del bagno di sangue.

Netanyahu e Israele hanno risposto al più grande pogrom antiebraico da un secolo a questa parte con una guerra spietata condotta anche in modo criminale e inaccettabile, ma che non ci sarebbe stata senza il sette ottobre. Ora potrebbero ottenere la possibile pacificazione del Medioriente, di concerto con i paesi arabi e musulmani compresi Turchia, Indonesia e Pakistan. Netanyahu e i suoi avrebbero voluto continuare a sradicare Hamas da Gaza, e magari occupare la Striscia per sempre, ma è stato Trump a fermarli, e anche questo va riconosciuto al nazionalista americano.

La pace è un risultato ancora tutto da verificare sul campo e nel tempo, ma potenzialmente è un evento epocale. Il costo umano però è spaventoso, senza considerare la recrudescenza in tutto l’Occidente del più osceno antisemitismo che, dopo la carneficina a Gaza, tornerà a farsi sentire in Europa, anche ora che il Grande Medioriente proverà a convivere in un modo civile.

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Redazione Redazione Eventi e News