L’economia mondiale raddoppia ma povertà e disuguaglianze persistono, mentre i danni all’ambiente si aggravano

Ha ancora senso parlare di Prodotto interno lordo? Dedicare attenzione a questo indice economico? E poi: ha senso avere come obiettivo primario la crescita del Pil? Se nel famoso discorso del marzo ’68, pronunciato poco meno di tre mesi prima di essere ucciso, Bob Kennedy aveva detto che il Pil «misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta», ormai è chiaro che non è neanche più questione di «misurazioni» economiche ed extra-economiche. Il Pil come riferimento non funziona non perché «non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari», come aveva detto Kennedy in quel discorso con cui tentò la volata verso la Casa Bianca. Il punto non è che non misura «la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese». Il Pil, ci dicono non delle belle parole ma dei freddi dati, non ha senso neanche come indicatore economico tout court, perché non rispecchia l’andamento di tutta una serie di parametri economici. A cominciare da quelli relativi ai livelli di povertà e quelli relativi al tasso di disuguaglianza.
Una conferma di tutto ciò arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Ricercatori del Doughnut economics action lab (Deal, Oxford, Uk) che operano anche presso il Sustainability research institute dell’Università di Leeds, e l’Environmental change institute dell’Università di Oxford, hanno analizzato le tendenze di 35 indicatori dal 2000 al 2022 utilizzando il quadro di riferimento “Doughnut” dei limiti sociali e planetari (in pratica, si tratta di un modello reso graficamente “a ciambella” che valuta se l’economia globale soddisfa i bisogni di tutti entro i limiti delle risorse disponibili sul pianeta).
Ebbene, dalle analisi emerge che sebbene il Pil globale sia più che raddoppiato nel ventennio preso in esame, c’è stato soltanto un modesto risultato nella riduzione della deprivazione umana. Che, aggiungono i ricercatori, dovrebbe accelerare di cinque volte per soddisfare le esigenze di tutte le persone entro il 2030. Non solo. Considerato quanto il modello di produzione e consumo ha impattato in modo fortemente negativo sulle risorse planetarie in questi anni, l’aumento del «superamento ecologico» dovrebbe cessare immediatamente e accelerare di quasi due volte più velocemente verso il rientro dei limiti planetari per salvaguardare la stabilità del sistema terrestre entro il 2050. Come se non bastasse, c’è da notare che lo studio si riferisce appunto all’arco di tempo 2000-2022, quando avevamo superato sei dei limiti critici del sistema Terra, ma è proprio di pochi giorni fa la notizia che ora ne abbiamo violato uno in più rispetto all’anno scorso e siamo a quota 7 sul totale di 9.
I ricercatori hanno raggruppato 193 paesi in base al reddito nazionale lordo medio pro capite in tre gruppi: il 40% più povero, il 40% medio e il 20% più ricco. Misurando la percentuale della popolazione che vive al di sotto degli standard sociali minimi in settori quali alimentazione, salute, istruzione, alloggio, energia e accesso ai servizi, hanno rilevato che il 40% più povero della popolazione sopporta la maggior parte del deficit sociale globale. Inoltre, sottolineano che la disaggregazione dei risultati globali a cui sono giunti nelle loro analisi «mostra che il 20% delle nazioni più ricche, con il 15% della popolazione mondiale, contribuisce per oltre il 40% al superamento ecologico annuale, mentre il 40% dei paesi più poveri, con il 42% della popolazione mondiale, subisce oltre il 60% del deficit sociale»: «Queste tendenze e disuguaglianze ribadiscono la necessità di superare la dipendenza delle nazioni dalla crescita perpetua del Pil e di riorientarsi verso un’attività economica rigenerativa e distributiva, all’interno e tra le nazioni, che assegni priorità ai bisogni umani e all’integrità del pianeta».
Spiega Andrew Fanning, responsabile ricerca e analisi dei dati presso il Deal: «La nostra analisi mostra che, nonostante la rapida crescita economica globale, l’umanità continua a lasciare miliardi di persone in condizioni di privazione, spingendo la Terra oltre i suoi limiti di sicurezza. Il mondo è sbilanciato: abbiamo urgente bisogno di economie progettate per garantire sia il benessere umano che la salute del pianeta». Aggiunge Kate Raworth, cofondatrice e responsabile concettuale del Deal: «Analizzando la tendenza globale del Doughnut emerge una realtà cruda: l’ossessione per la crescita infinita del Pil, specialmente nei paesi più ricchi, sta rapidamente allontanando il mondo da un futuro prospero, anziché avvicinarlo. È ora di concentrarsi invece sulla creazione di economie rigenerative e distributive per loro stessa natura, poiché questo sarà il segno distintivo del progresso del XXI secolo».
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