L’esperimento dell’Eeb: tracce di Pfas nel sangue di 24 leader europei di 19 diversi Paesi comunitari

L’European environmental bureau ha realizzato un’iniziativa sui generis per mostrare quanto sia grave e diffuso il problema della contaminazione da Pfas. Ha chiesto a 24 personalità che occupano posti di vertice all’interno delle istituzioni europee di poter far svolgere un esame del loro sangue per verificare se fossero riscontrabili o meno tracce di questi inquinanti permanenti. In particolare, hanno accettato di partecipare a questa iniziativa una commissaria europea - la titolare dell’ambiente Jessika Roswall - 11 ministri, 7 sottosegretari, vice segretari o segretari di Stato, 4 direttori generali o direttori esecutivi. Tutti cittadini europei provenienti da 19 diversi Paesi comunitari. Il risultato? Nel sangue di tutti e 24 sono state rilevate sostanze Pfas. «A conferma del fatto – sottolinea l’Eeb dando notizia dell’esito di questa iniziativa – che nessuno è immune rispetto all’esposizione a queste sostanze chimiche persistenti ed “eternamente presenti”».
Per la metà dei leader dell’Ue, tra l’altro, la contaminazione ha superato i livelli oltre i quali non è possibile escludere ripercussioni sulla salute. Sei delle sostanze Pfas rilevate da queste analisi (PFOA, PFOS, PFHxS, PFNA, PFDA e PFUnDA) sono già regolamentate in Europa, ai sensi del regolamento Ue sui Pop (Persistent organic pollutions) o del regolamento Reach, a sottolinearne l’impatto duraturo e la continua minaccia per la salute umana e l’ambiente.
L’invito a far effettuare l’analisi del sangue era stato inoltrato a luglio a 32 personalità di spicco dell’Ue. L’iniziativa è stata lanciata dal ministero danese dell’Ambiente e delle pari opportunità, insieme alla rete di associazioni ambientaliste europee Eeb e all’organizzazione impegnata nella lotta all’utilizzo delle sostanze chimiche dannose ChemSec. Obiettivo della campagna è non solo denunciare la diffusa contaminazione da Pfas ma anche mettere sul piatto un ulteriore stimolo affinché i vertici dell’Ue adottino concrete misure per far fronte a questo problema di inquinamento. «Il costo umano ed economico dell’inazione in materia di inquinamento da Pfas è già sbalorditivo e cresce di giorno in giorno – spiega Patrick ten Brink, segretario generale dell’Eeb – I responsabili delle decisioni devono chiudere urgentemente il rubinetto, ritenere responsabili gli inquinatori e fermare questo ciclo di danni. Le persone devono poter riprendere fiducia nell’acqua che bevono e nel cibo che mangiano».
Nel sangue di tutti i leader e funzionari europei sottoposti al test sono state rilevate da tre a otto sostanze chimiche Pfas (su 13 testate), con il Pfos (regolamentato nel 2008) che ha mostrato le concentrazioni più elevate (fino a 17,19 ng/ml). La metà delle persone sottoposte al test presentava livelli di Pfas superiori al valore di riferimento sanitario di 6,9 ng/ml stabilito dall'Hbm4Eu per l’esposizione combinata a PFOA, PFNA, PFHxS e PFOS. Tutte le persone sottoposte al test presentavano un livello totale di esposizione ai Pfas superiore a 2 ng/ml, il livello oltre il quale le accademie nazionali degli Stati Uniti raccomandano un monitoraggio medico specifico.
«Ma c’è anche motivo di speranza», scrive l’Eeb. Una delle leader dell’Ue, Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell'Agenzia europea dell'ambiente, che aveva precedentemente sottoposto il proprio sangue a test, ha mostrato un calo dei livelli di Pfas, riflettendo le tendenze osservate tra la popolazione europea per i Pfas soggetti a restrizioni. Spiega Anne-Sofie Bäckar, direttrice esecutiva di ChemSec: «Questi risultati dimostrano due cose: la contaminazione da Pfas non risparmia nessuno e la regolamentazione funziona. Laddove sono in vigore divieti, i livelli stanno iniziando a diminuire: una chiara prova che leggi severe proteggono le persone. Ora abbiamo bisogno che i leader dell'Ue portino a termine il lavoro con un divieto universale di tutti i Pfas, non solo nei prodotti di consumo, prima che un'altra generazione paghi il prezzo del ritardo dell'industria».
Tra l’altro, sottolinea la rete di organizzazioni ambientaliste europee, già oggi la bonifica dell'inquinamento esistente potrebbe costare all’Ue fino a 2.000 miliardi di euro nei prossimi 20 anni, senza contare i costi aggiuntivi legati alla salute, che ammontano a 52-84 miliardi di euro all'anno. Prevenire un ulteriore inquinamento attraverso una legislazione rigorosa è possibile ed economicamente vantaggioso, ribadisce l’Eeb, aggiungendo che ora l’Ue si trova a un bivio cruciale nel controllo delle sostanze chimiche pericolose. Da un lato, si appresta a rivedere il proprio quadro normativo (Reach) e, dall’altro, sta valutando la proposta di “restrizione universale dei Pfas” avanzata da cinque Stati membri.
Per restringere lo sguardo al nostro Paese, il problema in Italia è talmente diffuso che queste sostanze chimiche sono state rilevate nel corso di una campagna di Greenpeace nell’80% dei campioni di acqua prelevati in tutte le regioni. La scorsa primavera il governo Meloni ha approvato un decreto sulla riduzione dei livelli consentiti di Pfas nell’acqua, ma nessun atto è stato ancora compiuto per mettere al bando questi inquinanti perenni. Diversamente si sono mossi altri Paesi europei, come la Danimarca, che un anno e mezzo fa oltre a mettere al bando una serie di prodotti contenenti Pfas ha anche stanziato 54 milioni di euro per un Piano nazionale ad hoc, o più recentemente la Francia, che ha vietato dal 2026 tessuti e cosmetici che presentano tracce di queste dannose sostanze chimiche permanenti.
Una risposta va data anche a livello comunitario. E alla luce di quanto tra l’altro emerso con queste analisi del sangue, ora l’Eeb, ChemSec e più di 100 organizzazioni in tutta Europa hanno lanciato il manifesto Stop Pfas, esortando i leader dell’Ue ad agire sostenendo la restrizione universale dei Pfas: «I cittadini dell'Ue non dovrebbero accontentarsi di un divieto parziale solo sui prodotti di consumo. Ritardi e scappatoie non faranno altro che prolungare la crisi di contaminazione e aumentare i rischi per la salute e i costi di bonifica per le generazioni future».
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