L’Italia è in anticipo sul deficit sotto il 3% del Pil, a spese di lavoratori e pensionati

La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha elogiato l’Italia per gli «sforzi molto seri» sul bilancio pubblico, aggiungendo che «prossimamente» potrebbe raggiungere l’obiettivo del deficit sotto al 3 per cento del Pil anticipando l’uscita dalla procedura di infrazione europea. Giubilo dal governo di Giorgia Meloni, nel mezzo dell’ennesimo scontro (per le uscite di François Bayrou sul dumping fiscale italiano) con la Francia di Macron in piena crisi economica e politica. I conti pubblici italiani (quasi) in ordine, rispetto al deficit francese intorno al 6 per cento, fanno notizia. Ma come ha fatto Roma a ridurre il deficit prima del previsto?
Il toccasana per le casse dello Stato – come abbiamo già raccontato – si chiama fiscal drag, drenaggio fiscale. È quel meccanismo per cui, anche se abbiamo ricevuto un aumento di stipendio o della pensione per compensare (anche solo in parte) l’inflazione, alla fine non ce ne siamo accorti nemmeno. Perché con più soldi in busta paga, anche le tasse da pagare sono aumentate e le aliquote Irpef sono cresciute (secondo il sistema fiscale progressivo italiano).
Le casse dello Stato quindi ne hanno beneficiato, ma a spese soprattutto dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Che, al contrario degli autonomi con regime forfettario, non godono della flat tax.
Il rapporto 2025 dell’Ufficio parlamentare di bilancio stima che il fiscal drag abbia inciso per ventuno dei trentasette miliardi di crescita dell’Irpef tra il 2020 e il 2024. Secondo i calcoli de Lavoce.info, tra il 2022 e il 2024, è arrivato a venticinque miliardi di euro.
Un tesoretto, alimentato anche dagli aumenti sulle addizionali Irpef comunali e regionali, che ha consentito al governo italiano di risanare le finanze pubbliche e addirittura di anticipare l’obiettivo deficit/Pil sotto il 3 per cento al 2026. Con tanto di complimenti da parte della Bce e prima ancora Unione europea, che già nella Raccomandazione del Consiglio di giugno certificava il percorso virtuoso dell’Italia sui conti pubblici.
Secondo gli economisti Marco Leonardi e Leonzio Rizzo, senza il fiscal drag l’obiettivo di portare il deficit sotto il tre per cento del Pil sarebbe stato raggiunto dall’Italia nel 2029, quindi con tre anni di ritardo rispetto a quanto previsto dal Piano strutturale di bilancio di medio termine.
Le casse dello Stato sono in ordine. Ma il ceto medio, a cui il governo continua a fare grandi promesse, ci perde. Per colpa del fiscal drag, sopra i 35mila euro la pressione fiscale è aumentata infatti di due punti. Ad aver pagato di più sono operai, impiegati e pensionati. Proprio mentre da Palazzo Chigi si diceva di aver abbassato le tasse con il taglio del cuneo fiscale. Taglio che, a sua volta, è stato però finanziato con facilità proprio grazie al maggiore gettito pagato per effetto del fiscal drag.
Un circolo vizioso che ora ha portato Meloni a segnare il suo rigore contro la Francia. La gestione prudente dei conti pubblici e la stabilità politica sono premiate dai mercati. E lo spread Btp-Oat a dieci anni, ovvero il differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e quelli francesi, si muove verso lo zero. Uno scenario impensabile fino a pochi mesi fa. Anche se in pieno clima derby, si dimentica di aggiungere che negli ultimi vent’anni, mentre in Italia il Pil pro capite è aumentato di appena il 2,7 per cento, in Francia è salito del 15 per cento.
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