Schlein ha risolto l’annosa divisione programmatica del centrosinistra cancellando il Pd

Il «tenore di grazia» Giuseppe Conte (cit. Pier Luigi Bersani) questa volta ha perfettamente ragione quando dice al Corriere della Sera che «non basta arrivare a Chigi, dobbiamo assicurare stabilità con un progetto serio, evitando un governo che si sfaldi poco dopo le elezioni come accadde con l’Unione di Prodi». È quello che da anni dicono molti osservatori e protagonisti della politica.
È un concetto correttissimo che è ben presente anche a Elly Schlein. La quale infatti ha trovato un modo molto semplice per risolvere il problema: assumere la linea degli altri partiti alleati, così si evitano e si eviteranno problemi. In questo modo la trentennale malattia della sinistra – o centrosinistra, o Ulivo, o Unione, o campo largo – si può curare in modo definitivo, come si fa con l’appendicite, con un taglio netto: basta eliminare la soggettività del Partito democratico, sottoscrivere il programma di Conte, e il gioco è fatto.
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli sono pronti, figuriamoci, e il gruppo dirigente del Nazareno anche. Il Partito democratico però non si accorge che così si dà la zappa sui piedi. Perché – è il sottotesto del ragionamento contiano – va da sé che l’interprete migliore del programma di Conte è Conte stesso, e dunque perché mandarci un altro o un’altra a Palazzo Chigi?
Quindi, annegando la propria autonomia nella palude allestita dall’avvocato, la leader del Pd o non si accorge di lavorare per il Re di Prussia, concedendogli qualsiasi cosa, oppure pensa al più squallido (e illusorio) degli scambi: i contenuti a te, la poltrona a me. Cose che nemmeno il Caf (per i giovani: il patto Craxi-Andreotti-Forlani di quasi cinquant’anni fa).
In questa fase siamo chiaramente alle prove generali di questa commedia. Gli accordi di potere sulle Regionali si sono visti. E non è improbabile che daranno i loro frutti anche se – qui Conte ha torto – una buona prova del campo largo non determinerà nessun «grossissimo scrollone» ai danni del governo.
I contiani marcano il terreno pure sull’Ucraina, con Chiara Appendino che in sostanza chiede la resa di Kyjiv. Ma almeno su questo Schlein tiene la posizione. Poi ieri alla Camera, mentre piovono droni russi sulla Polonia e l’Europa è praticamente sotto schiaffo, lo spettacolo è stato dei più penosi. Il tripartito Pd-M5s-Avs, con pochi accenti diversi, ha detto più o meno la stessa cosa: no alla prospettiva di aumentare le spese militari al cinque per cento del Pil in dieci anni, che è ciò che chiede la Nato. Il partito di Elly Schlein si è trincerato dietro la linea di Pedro Sánchez, unico leader democratico d’Europa a frenare sui piani di riarmo europei, e si è astenuto sui testi di Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 stelle dai toni più estremisti. Ha votato contro la mozione di Azione, quella più attenta al problema del riarmo europeo.
Quanto meno, ci sono stati i soliti contorcimenti dei riformisti, che si sono rifiutati di astenersi sui testi di Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 stelle, e in tre (ma proprio tre) hanno votato contro – Lia Quartapelle, Marianna Madia e Lorenzo Guerini (Piero Fassino era impegnato all’estero). È un altro tassello del tripartito Pd-M5s-Avs, ma questa volta sulla politica estera, uno slittamento che al Quirinale, che deve anche annotare che la maggioranza non ha nemmeno presentato una mozione per non incappare nel niet della Lega, certo non piacerà.
Ma probabilmente anche al Colle ormai disperano di ritrovare una sinistra davvero di governo, non populista e non estremista. Questa involuzione potrà aprire inediti spazi per costruire una cosa nuova ma nel solco del Partito democratico originario a vocazione di governo? In teoria ci potrebbe essere un rimbalzo antischleiniano e anticontiano. In teoria.
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