Terre rare e non solo: nella guerra commerciale tra Usa e Cina, Pechino è favorita e l’Europa ha molto da perdere

Ottobre 15, 2025 - 14:30
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Terre rare e non solo: nella guerra commerciale tra Usa e Cina, Pechino è favorita e l’Europa ha molto da perdere

Pechino stringe sull’esportazione di terre rare, Trump minaccia dazi al 100% nei confronti dei prodotti cinesi, le Borse mondiali crollano, poi tutto torna come se nulla fosse. Fino alla prossima puntata. Che succede? Da giorni va avanti tra le due sponde del Pacifico uno spettacolo che a tratti ha tutti i caratteri di una guerra commerciale, a tratti di un minuetto dai toni concilianti. Tanto che anche l’Istituto per gli studi di politica nazionale (Ispi) ha pubblicato un breve testo dal titolo: «Usa-Cina: guerra (commerciale) o scaramucce?». Ma se la parte scritta è breve, è semplicemente perché quelle poche righe sono corredate da un grafico quantomai eloquente. Rappresenta le percentuali di estrazione e raffinazione di terre rare da parte degli Stati Uniti e della Cina, e il colpo d’occhio rende evidente come tra le due superpotenze non ci sia partita in questo campo, con Pechino che la fa da padrone.

Dopo le minacce dei dazi da far scattare il 1° novembre e dopo aver annullato un incontro programmato per fine mese in Corea del Sud con Xi Jinping, Trump ha fatto marcia indietro. È bastato che un portavoce del ministero del Commercio di Pechino facesse sapere che la Cina «non vuole ma neanche ha paura di una guerra commerciale» perché il presidente Usa smorzasse i toni: «Andrà tutto bene», ha spiegato, mandando a dire che l’America vuole «aiutare, non danneggiare» la Cina. Poi però, a poche ore di distanza, è arrivato uno scontro sui porti e le tasse da pagare per l’attracco in America di navi straniere, poi un altro sulla soia e l’olio da cucina, costantemente alternando, da parte statunitense, facce truci e sorrisi affabili.

In attesa di verificare quanto siano serie le minacce del tycoon (intanto l’incontro con Xi Jinping confermato e poi annullato è stato ora nuovamente confermato, salvo nuove indicazioni) e di capire se, per dirla con l’lspi, siamo di fronte soltanto a scaramucce o all’avvio di una vera e propria guerra commerciale tra Usa e Cina, ci sono un paio di certezze. La prima la sottolinea un’economista che non risparmia mai bordate a Trump ma che è sempre molto obiettivo e lucido nelle sue analisi, Paul Krugman, che nel suo ultimo scritto su Substack elenca tutti i motivi per cui in un conflitto commerciale con la Cina sarebbe l’America a subire i danni maggiori: dopo aver ricordato la malagestione della Casa Bianca in fatto di geopolitica anche nel rapporto con partner storici e anche tutti i tagli imposti dal tycoon nei confronti dei settori collegati al campo della ricerca, Krugman scrive: «Potremmo entrare in una guerra commerciale totale con la Cina dopo aver distrutto i vantaggi non commerciali che l’America aveva in passato sotto forma di leadership scientifica e alleati importanti. Di conseguenza, è solo una questione di quale nazione può causare più danni all'altra. E se questi sono i termini su cui si combatte una guerra commerciale, è chiaro chi è nella posizione più forte. La Cina vuole accedere al mercato statunitense, ma l'America ha bisogno delle terre rare cinesi e di altre materie prime. L’America perderà questo conflitto».

L’altra certezza, in tutto questo, riguarda l’Europa. Che anche in questo campo, come in molti altri, non fa altro che giocare il ruolo dello spettatore. Però tutt’altro che disinteressato. La decisione della Cina di imporre nuove restrizioni all’export di terre rare, sottolinea un’analisi pubblicata da Euractiv con il titolo «Il brusco risveglio dell'Europa sulle terre rare», minaccia non solo di far deragliare l’economia globale e di creare grandi difficoltà a settori strategici come quelli dei semiconduttori, dei veicoli elettrici e degli aerei da combattimento: «È una pugnalata al cuore dell’industria manifatturiera occidentale di alta tecnologia e in particolare del settore della difesa. La cosa più allarmante è che l’Europa e l’Occidente possono fare ben poco per contrastarla».

Del resto, viene ricordato, segnali allarmanti da parte di Pechino erano già arrivati in passato, come quando nel 2010 la Cina ha sospeso le esportazioni di terre rare verso il Giappone a causa di una disputa territoriale, colpendo così l’industria automobilistica giapponese. «Ciò avrebbe dovuto allarmare l’Occidente, dato che a quel punto la sua catena di approvvigionamento di terre rare era praticamente scomparsa. Il Giappone ha promesso di non lasciarsi mai più in una posizione così vulnerabile: i suoi produttori hanno iniziato a immagazzinare terre rare sufficienti a soddisfare il proprio fabbisogno per due anni e hanno investito in fornitori australiani. Ma il resto del mondo sviluppato non ha reagito».

In particolare, è l’Europa che non ha reagito per tempo con una strategia comune e di lunga visione. Solo nel 2023 l’Unione europea ha approvato la legge sulle materie prime critiche, che fissa l’obiettivo di estrarre collettivamente almeno il 10% del consumo totale di minerali critici dell’Ue e di lavorarne almeno il 40% entro il 2030. Troppo poco, troppo tardi. Lo scorso anno, benché sia stato registrato un calo di quasi il 30%, i Paesi europei hanno importato 12.900 tonnellate di terre rare, con la Cina che è stata il principale partner commerciale, rappresentando il 46,3% del peso totale delle importazioni. Dovessero venir meno questi ingressi? Potremmo rivolgerci per ulteriori forniture al secondo Paese, da cui l’Ue ha importato il 28,4% delle terre rare necessarie per apparecchiature tecnologiche e dispositivi del settore difesa? Forse. Resta il fatto che quel Paese è la Russia di Putin.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia