Tre pilastri per un’edilizia davvero sostenibile, spiegati da Patty L’Abbate

Ieri ho avuto l’onore di intervenire come relatrice al convegno promosso dal Green Building Council Italia, dedicato all’edilizia sostenibile: ho colto l’opportunità per ribadire con forza alcune idee che ritengo imprescindibili per dare una svolta concreta al modo di costruire nel nostro Paese.
Nel mio intervento ho posto al centro la questione del consumo di suolo, un tema che da troppo tempo è rimasto privo di una regolamentazione nazionale organica. In Italia non esiste ancora una legge quadro che disciplini in modo unitario la progressiva artificializzazione del territorio: stiamo pur sempre utilizzando strumenti urbanistici risalenti a decenni fa, se non addirittura all’epoca della legge urbanistica generale, risalente agli Anni 40.
Eppure, ogni anno, perdiamo decine di chilometri quadrati di terreno naturale o agricolo, sostituiti da cemento, asfalto, infrastrutture, centri commerciali e insediamenti espansivi. Secondo i dati del Snpa e di Ispra, negli ultimi anni l’incremento delle superfici urbanizzate ha superato i 500 km² complessivi, una perdita equivalente a una nuova città grande quanto una regione media.
Una legge nazionale permetterebbe di fissare obiettivi vincolanti di consumo netto zero, di delineare criteri condivisi di misurazione, di introdurre obblighi di compensazione e di prevedere la de-impermeabilizzazione, la rinaturalizzazione e la rigenerazione urbana. Ho presentato una proposta di legge sul consumo di suolo e più emendamenti in Parlamento per inserire istanze in linea nei testi normativi, purtroppo però sono stati regolarmente respinti dal governo, spesso per ragioni non molto chiare: forse conflitti con altri interessi settoriali?
Ma tutelare il suolo, non è un semplice orpello, quanto un paradigma centrale per ridurre la pressione sul territorio libero, riconvertire borghi e quartieri degradati, diminuire i costi infrastrutturali e migliorare la qualità della vita. In un contesto di crisi climatica e fragilità idrogeologica, consumare nuovo suolo è un errore strategico che stiamo già pagando, in termini di dissesto, vulnerabilità e perdita di biodiversità.
Ha un peso significativo anche il tema degli End of Waste (EoW) nell’edilizia – ovvero il processo attraverso cui un rifiuto edilizio o da demolizione può cessare di essere considerato tale e rientrare nel ciclo come prodotto, materia prima secondaria o aggregato.
Attualmente la disciplina in Italia è ancora frammentaria: per alcune tipologie, come gli inerti, è stato approvato di recente un decreto ad hoc (decreto 127/2024) che definisce i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto. Ma per molti altri materiali ancora non esistono norme chiare né linee guida coerenti, e l’iter dei decreti è spesso fermo da anni.
Questo significa che le imprese che vorrebbero adottare processi circolari si trovano in una sorta di limbo normativo, con grandi incertezze su cosa possa effettivamente considerarsi “recuperato” o “riutilizzabile”. È inaccettabile che si debba attendere otto anni o più per avere normative operative che regolino il settore delle costruzioni. Ho sostenuto che lo Stato non può avere un approccio dilatorio: bisogna concordare decreti EoW in tempi misurabili, coinvolgendo le associazioni di settore, le università, i centri di ricerca e gli operatori, in modo da promuovere una transizione reale verso l’economia circolare dell’edilizia.
Un terzo pilastro del mio discorso ha riguardato le imprese del settore: esse non possono restare ancorate ai modelli lineari del passato – devono innovare, rendere i loro processi circolari e a bassa impronta di carbonio per poter restare competitive. In pratica, significa progettare edifici e infrastrutture valutando fin dall’inizio l’intero ciclo di vita (Lca), utilizzando l'indicatore carbon footprint ossia ricostruire a bassa impronta di carbonio, sfruttando il riciclo interno, minimizzando gli scarti, recuperando materia, utilizzando energia rinnovabile. Significa evitare che in fase progettuale si producano “scarti irrimediabili” e che gli edifici stessi siano concepiti per essere disassemblabili, adattabili, produttori e non dissipatori di energia.
Ma un’impresa da sola non può fare tutto: serve che lo Stato affianchi queste trasformazioni, attraverso strumenti come il Piano Transizione 5.0, incentivi fiscali, crediti d’imposta per tecnologie verdi, sostegno alla ricerca e sviluppo, finanziamenti agevolati per retrofit e rigenerazione. Lo Stato deve fare da motore e da facilitatore della modernizzazione, non da ostacolo.
A questo proposito ho suggerito di dare spazio alla mia proposta di legge contro il greenwashing: un testo che sanzioni le comunicazioni ingannevoli o esagerate sul carattere ambientale di prodotti, materiali o imprese. Chiaramente non si tratta di penalizzare l’innovazione, ma di proteggere le aziende veramente virtuose da una competizione sleale di chi fa dichiarazioni inconsulte senza sostanza.
L’evento del Green Building Council è stata un’occasione preziosa per confrontarsi, per sensibilizzare e per lanciare proposte concrete. Ma ciò che ho detto da quella tribuna non deve restare su un palco: deve tradursi in impegni politici, in leggi, in decreti, in piani attuativi.
Abbiamo bisogno di una legge nazionale che fissi regole condivise sul consumo di suolo, di decreti EoW tempestivi, abbiamo bisogno che le imprese vengano accompagnate e non punite, nel loro percorso verso l’economia circolare e la decarbonizzazione. E abbiamo bisogno di norme che contrastino davvero il greenwashing, per dare valore alla trasparenza e alla credibilità nel mercato ambientale.
Il tema dell’edilizia sostenibile non è più una questione di nicchia: è un tema centrale per la resilienza dei nostri territori, per l’adattamento al clima, per la qualità della vita e per la competitività internazionale. E come relatrice e come cittadina, continuerò a battere su queste questioni, presentando emendamenti, promuovendo alleanze e mobilitando le coscienze affinché il nostro Paese possa finalmente fare sul serio.
Qual è la tua reazione?






