Cala la produzione dei giacimenti, i gruppi petroliferi e del gas spendono 500 miliardi l’anno «per rimanere fermi»

Punto primo: nonostante la scellerata politica statunitense centrata sul «drill, baby, drill» trumpiano, il calo della produzione dei giacimenti petroliferi e di gas esistenti ha subìto a livello globale un’accelerazione, con implicazioni per i mercati e la sicurezza energetica. Questa diminuzione è certificata dall’Agenzia internazionale dell’energia (International Energy Agency, Iea), che sottolinea un secondo punto, non a caso messo in evidenza da un sito attento alle politiche relative alla crisi climatica come Carbon brief: «Non sono necessari nuovi giacimenti di petrolio e gas» se il riscaldamento globale viene limitato a 1,5°C. Gli Stati Uniti sono usciti dagli Accordi di Parigi dando uno scossone alle politiche sul clima che ha travalicato i confini americani? Anche i governi europei ultimamente non stanno fornendo una bella immagine di sé in quanto a impegni per il taglio delle emissioni entro il 2040? E allora ecco il terzo e ultimo punto, che viene confermato sempre dall’Iea e che mostra come il mondo stia andando in una direzione ben precisa, checché dicano e facciano i governi: gli investimenti globali nel settore energetico sono destinati ad aumentare fino a raggiungere i 3,3 trilioni di dollari nel 2025; di questi, circa 2,2 trilioni di dollari saranno destinati alle energie rinnovabili, alle reti elettriche, allo stoccaggio, ai combustibili a basse emissioni, al nucleare, all’efficienza energetica e all’elettrificazione; un terzo della cifra totale per il settore energetico e la metà di quella per l’energia pulita, ovvero circa 1,1 trilioni di dollari, saranno invece destinati al petrolio, al gas e al carbone.
La nuova analisi realizzata e appena pubblicata dall’Iea si basa sui dati di produzione di circa 15.000 giacimenti di petrolio e gas in tutto il mondo. Si intitola “The Implications of Oil and Gas Field Decline Rates” (Le implicazioni dei tassi di declino dei giacimenti di petrolio e gas) ed è interessante non solo per i dati che fornisce, ma anche per l’impostazione data all’analisi della questione. Solitamente, infatti, le indagini e il dibattito internazionale sul futuro dei combustibili fossili si concentrano più sulle tendenze della domanda che sui fattori che influenzano l’offerta. Il nuovo studio Iea fa il contrario, ed evidenzia che il tasso medio di declino della produzione dei giacimenti di petrolio e gas nel tempo ha subito una significativa accelerazione a livello globale, in gran parte a causa della maggiore dipendenza dalle risorse di scisto e offshore profonde, il che significa che le aziende devono lavorare molto più duramente di prima solo per mantenere la produzione ai livelli attuali.
Spiega il direttore esecutivo dell’Iea Fatih Birol che «solo una piccola parte degli investimenti a monte nel settore petrolifero e del gas viene utilizzata per soddisfare l’aumento della domanda, mentre quasi il 90% degli investimenti annuali a monte è dedicato a compensare le perdite di approvvigionamento nei giacimenti esistenti». Nel caso del petrolio, aggiunge, l’assenza di investimenti a monte eliminerebbe dal bilancio del mercato globale l’equivalente della produzione combinata di Brasile e Norvegia ogni anno. «La situazione implica che l’industria deve correre molto più veloce solo per rimanere ferma». Un paradosso. Ha senso spendere circa 570 miliardi di dollari all’anno, cifra calcolata dall’Iea, solo per mantenere la produzione ai livelli attuali? O ha senso investire su nuovi giacimenti considerando che ci vogliono circa 20 anni prima di incassare qualcosa? L’Iea sottolinea infatti che, in tutto il mondo, dal rilascio delle licenze di esplorazione di petrolio e gas, prima che la produzione aggiuntiva inizi a fluire passano «in media cinque anni per scoprire il giacimento, otto anni per valutarlo e approvarne lo sviluppo e sei anni per costruire le infrastrutture necessarie e avviare la produzione». Ha senso? Non secondo i due terzi degli investitori nel settore energetico, appunto, che hanno capito quanto sia più conveniente puntare sulle rinnovabili.
Tra l’altro, per dare un’idea di quanto sia accelerato il tasso di declino e di quanti soldi si debbano investire solo per mantenere gli attuali livelli di produzione di gas e petrolio, basta leggere questo dato inserito nel report Iea: nel 2010, un arresto degli investimenti a monte avrebbe ridotto l’offerta di petrolio di poco meno di 4 milioni di barili al giorno (mb/g) ogni anno. Oggi la cifra equivalente è di 5,5 mb/g, mentre i tassi di declino del gas naturale sono aumentati da 180 miliardi di metri cubi (bcm) all’anno a 270 bcm.
Ovviamente, i tassi di declino variano a seconda del tipo di giacimento e dell’area geografica in cui si trovano i giacimenti. Quelli onshore presenti in Medio Oriente, che sono di grandi dimensioni, registrano un declino inferiore al 2% all’anno, mentre i giacimenti offshore in Europa, che sono più piccoli, registrano una media di calo superiore al 15% all’anno. Il declino del petrolio da scisti e del gas di scisto è ancora più marcato: senza investimenti, la produzione cala di oltre il 35% in un anno e di un ulteriore 15% nel secondo anno.
Ultimo elemento che emerge dal rapporto Iea: è evidente il paradosso di dover correre sempre di più per restar fermi, cioè di dover investire somme sempre maggiori solo per mantenere i livelli attuali di produzione di petrolio e gas, ma c’è anche un altro aspetto paradossale di questo trend riguardante i combustibili fossili, ed è che non servono nuovi giacimenti se vogliamo davvero limitare il riscaldamento globale a 1,5°C e non andare incontro a peggiori impatti da crisi climatica. Ma anche senza scomodare troppi paradossi, anche senza richiamare le responsabilità di governi al di qua e al di là dell’Atlantico, il rapporto Iea la mette giù in modo speculare e illustra anche le implicazioni che avrebbe il calo della domanda, in un mondo che limita l’aumento della temperatura a meno di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. L’Iea afferma che una «accelerazione del ritmo delle transizioni energetiche rispetto alle tendenze attuali» comporterebbe un drastico calo proprio della domanda di petrolio e gas. E aggiunge che se si verificasse questa diminuzione della domanda, non sarebbero necessari investimenti nella produzione di nuovo petrolio e gas: «Il ritmo di riduzione della domanda nello scenario zero emissioni è quindi sufficientemente rapido da rendere superflua, nel complesso, l’approvazione di nuovi progetti convenzionali a lungo termine nel settore».
Chi opera nel settore delle rinnovabili lo ha capito. Altri continuano a correre sempre più velocemente solo per restare dove sono.
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