Che cosa ordinare dal menù sul pianeta rosso

Settembre 20, 2025 - 11:00
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Che cosa ordinare dal menù sul pianeta rosso

«Ma questo cosa c’entra con Marte?» vuole sapere Evan dopo che Lenore l’ha chiamato per parlargli di fiumi, di chiavi di volta e della storia dell’agricoltura nel Novecento.

«La faccenda presenta due aspetti» risponde Lenore. «Innanzitutto, scoprire cosa ci sarà per cena su Marte potrebbe costituire un’analoga chiave di volta. Per vivere su Marte ci occorre sviluppare un tale intreccio di tecnologie che non appena lo faremo, diverrà inevitabile un nuovo modo di produrre cibo sulla Terra». Lenore cammina avanti e indietro, facendosi largo tra mucchi di fogli e di scatolame. «D’accordo…» dice Evan, ancora non troppo convinto.

«La seconda ragione è più incalzante. È indispensabile una trasformazione. Il nostro modello agricolo attuale, nato con la rivoluzione verde, ha fatto il suo tempo. Consuma troppa energia, è troppo esposto al cambiamento climatico, inquina troppo, ha un impatto eccessivo sul suolo e, malgrado tutte le macchine agricole, continua a sfruttare la forza lavoro umana e animale. Questo sistema industriale è emerso un secolo fa, prima che ci preoccupassimo di biodiversità e cambiamento climatico. Per sopravvivere ai prossimi cent’anni, per impedire la rovina totale del pianeta, all’umanità occorre un sistema nuovo. Una missione su Marte ci fornisce una nuova chiave di volta, una singolarità marziana. La soluzione è nei cavalli!» 

«I cavalli? Cosa c’entrano i cavalli con Marte?» Lenore sorride. Si aspettava la domanda. I cavalli sono un barometro utile per misurare la portata e la velocità del cambiamento durante la rivoluzione verde. Nel 1920 c’erano oltre 25 milioni di cavalli negli Stati Uniti, e gli agricoltori del paese destinavano quasi 20 milioni di ettari a coltivare l’avena con cui nutrirli. La società dipendeva da quegli animali, sulla cui forza lavoro verteva il sistema agricolo e quello dei trasporti. Di conseguenza, un enorme settore dell’economia nazionale comprendeva maniscalchi, allevatori e veterinari.

I cavalli, tuttavia, portavano con sé molte difficoltà. Nel 1898 delegati di diversi paesi del globo convennero a New York in quella che si considera la prima conferenza di pianificazione urbanistica al mondo. Il loro compito era trovare una soluzione a uno dei principali problemi delle città ottocentesche: come smaltire i colossali mucchi di stallatico. I media dell’epoca prevedevano che nel giro di cinquant’anni le vie principali di Londra sarebbero state sommerse da pile di sterco di cavallo alte tre metri. Nel frattempo, a New York, gli urbanisti dichiaravano che entro il 1930 i cumuli di letame avrebbero raggiunto le finestre del secondo piano degli edifici. La leggenda vuole che i partecipanti alla conferenza non riuscissero a pervenire ad alcuna soluzione al problema, al punto che il congresso si chiuse nel malanimo generale con diversi giorni d’anticipo.

Naturalmente, l’apocalisse del letame non è avvenuta. Nel 1960 il mondo aveva conosciuto la rivoluzione verde, nelle fattorie le macchine agricole avevano preso il posto dei cavalli e le consegne in tutto il Nord America erano effettuate per mezzo di furgoni. Era diffuso l’utilizzo di sistemi di irrigazione, pesticidi e azoto fertilizzante, e le logiche economiche di base dell’agricoltura erano sostanzialmente cambiate. Varietà nane di riso e di frumento si stavano diffondendo dovunque, incrementando le rese e allontanando lo spettro della carestia. La quantità totale di cibo prodotto sulla Terra schizzò alle stelle.

Oggi, grazie a queste tecnologie, ogni donna, uomo e bambino sul pianeta può contare su un’incredibile dieta di 2800 calorie al giorno. Ciò significa che al momento si produce più cibo pro capite di qualsiasi epoca della storia umana.

Nel corso di quella transizione il numero dei cavalli negli Stati Uniti precipitò di oltre l’85% e quello degli ettari coltivati ad avena addirittura del 90%. Una quantità incalcolabile di allevatori e maniscalchi persero il loro lavoro, e gli agricoltori che avevano coltivato tutta quell’avena dovettero spostarsi su nuovi mercati o nuove colture.

Se si placarono le preoccupazioni riguardo all’affogare nel letame, il nuovo sistema industriale originò una schiera di problemi inediti. La diffusione di macchine agricole, pesticidi, fertilizzanti e sistemi d’irrigazione comporta per l’agricoltura moderna l’utilizzo di strumenti costosi, e quindi solo i coltivatori provvisti di capitali sono stati in grado di sopravvivere. In tutto il mondo i piccoli agricoltori hanno conosciuto sofferenze enormi.

Fertilizzanti, sistemi d’irrigazione e macchine agricole richiedono inoltre molta energia, e dunque l’agricoltura moderna ha reso il nostro sistema alimentare più che mai dipendente dai combustibili fossili. Nel complesso, tutte queste nuove tecnologie hanno dato vita a loro volta a una nutrita serie di problemi.

Su questo argomento Lenore ed Evan hanno scritto cinque libri e oltre 150 pubblicazioni accademiche. Il nocciolo di tutto questo lavoro è che oggi il sistema alimentare e quello agricolo contribuiscono più di ogni altro settore all’inquinamento delle acque, usano una maggiore quantità di acqua dolce, sono i primi responsabili della perdita della biodiversità e determinano circa un terzo delle emissioni globali di gas serra. Grosso modo il 30% del cibo che produciamo va sprecato, e la «dieta occidentale» ormai diffusa in gran parte del pianeta è così ricca di carboidrati semplici, zuccheri e grassi da avere reso l’obesità e il diabete i principali motivi di preoccupazione per la salute pubblica. Se tutti noi dovessimo passare al regime alimentare suggerito dalle linee guida per un’alimentazione sana, sarebbe necessario quasi il quadruplo della produzione mondiale di frutta e verdura. In breve, il nostro sistema alimentare è un pasticcio inadatto a nutrirci nel xxi secolo.

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Evan ha cominciato questo libro con un po’ più di scetticismo,ma lavorando insieme a lei è arrivato a comprendere il suo punto di vista: per nutrire una comunità su Marte dovremo risolvere numerosi degli stessi problemi che affliggono il sistema alimentare terrestre.

Stiamo imparando a comunicare via Zoom. «Okay, questa è la lezione numero uno da tenere a mente» dice Lenore mentre conduce Evan lungo il ragionamento che finirà per dar forma al libro. «Dalla transizione dai cavalli ai trattori, dall’agricoltura tradizionale a quella industriale siamo in grado di ricavare una teoria generale dell’innovazione che possiamo applicare a Marte, e così facendo otterremo tutto ciò che ci serve per cambiare la situazione sulla Terra, no?»

Evan annuisce non convinto appieno, ma vuole stare al gioco. «Come prima cosa possiamo immaginare una soluzione al problema. Potrebbe trattarsi di qualsiasi problema, ma dato che parliamo di cibo, scegliamo un argomento attinente, per esempio la necessità di un paese come il Canada di riuscire a produrre frutta e verdura fresche in inverno. Scienziati, agricoltori e politici al lavoro sulla questione si renderanno conto che ciò di cui abbiamo bisogno per giungere alla soluzione è al tempo stesso indispensabile e impossibile: per far crescere pomodori a gennaio, il Canada dovrebbe prima trovare rimedio al problema dell’inverno. Vanno individuate le chiavi di volta. Molti laboratori universitari e diverse startup si impegnano da decenni per risolvere problemi di questo genere.

«Progettare abitazioni umane su Marte potrebbe benissimo essere una delle sfide più complesse nella storia dell’umanità. Un problema composto da decine di migliaia di sottoproblemi, stratificati l’uno sull’altro, disseminati di tecnologie con funzione di chiavi di volta tuttora mancanti e di processi possibili in teoria, ma al momento irrealizzabili nella pratica. Alcune di queste tecnologie sono già in fase avanzata di sviluppo, altre restano molto più indietro e altre ancora non esistono neppure a livello teorico. Stiamo procedendo verso un punto, però, in cui sarà possibile e pratico costruire un ponte sopra il più ampio dei fiumi.

«Ci stiamo avvicinando a un punto che chiamo “la singolarità marziana”. Al di là di quello, abitare il pianeta rosso sarà non solo fattibile ma anche inevitabile. E così facendo, avremo sviluppato una quantità decisiva di tecnologie intrecciate che avranno spinto quelli di noi rimasti sulla Terra verso un nuovo paradigma di agricoltura e produzione alimentare».

«D’accordo» dice Evan. «Decidiamo cosa ordinare per cena su Marte». E a un continente di distanza ci mettiamo al lavoro.

A cena su Marte, cover

Tratto da “A cena su Marte”, di Evan D.G. Fraser e Lenore Newman, IlSaggiatore, 264 pagine, 24€ 

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