Fatta la nuova Milano, dovremo fare i nuovi milanesi

Il dibattito pubblico intorno al futuro di Milano è un cocktail fatto per due terzi di mercato immobiliare e per un terzo di mobilità: al posto della scorzetta di arancia, per guarnire, qualche accenno al tema dei salari. Temi prettamente economici, materiali, temi di “struttura” insomma. Eppure, la vita delle comunità locali è fatta anche di “sovrastruttura” e di cultura: di identità. Quando avremo raffreddato l’ebollizione del mercato immobiliare, reso la mobilità più a misura d’uomo e aumentato i salari, potremo effettivamente dire di aver fatto la nuova Milano: ma fatta la nuova Milano dovremo fare i nuovi milanesi.
E non possiamo aspettarci che ciò avvenga in maniera naturale, che la “sovrastruttura” emerga da sé una volta sistemata la “struttura”. Sono convinto sia importante che il dibattito tra le forze politiche in vista delle amministrative del 2027 consideri la costruzione di un maggiore senso di comunità all’ombra della Madonnina come una politica pubblica fondamentale. Tra i tanti motivi, la composizione della popolazione milanese rende questo aspetto necessario: meno del 40 per cento degli attuali residenti abitava in città anche quindici anni fa, un dato incredibile se ci fermiamo a pensarci anche solo per un attimo.
Il rischio è quello di avere una cittadinanza “di passaggio”, una popolazione “appoggiata” e non davvero residente. Con il pericolo (se non la realtà) che si generi un senso di malessere nei confronti della città (come abbiamo scritto in un altro articolo). Una simile dinamica genera una mancanza di investimenti nel tessuto umano e nel capitale sociale urbano e, in ultima istanza, in un danno alla crescita economica ed eudemonica della città. Come rendere quindi i milanesi, specialmente quelli di più recente adozione, maggiormente legati al proprio territorio? Come rendere le comunità locali, sub-urbane, di Milano più forti e coese?
La città ha la fortuna di avere un tessuto sociale già molto sviluppato, ricco di associazioni civiche di tutti i tipi. Propongo qui qualche spunto per fare ancora meglio, senza pretesa di completezza, ma per stimolare il dibattito, sulla scia di ciò che mi è capitato di vedere in un recente viaggio a Londra. L’obiettivo politico di fondo è quello di rafforzare il legame tra chi vive a Milano e la città, con l’idea (chiave anche questa per il mio ragionamento) che per farlo occorra passare soprattutto da una maggiore coesione delle comunità locali, sub-urbane, e da una maggiore attenzione ai milanesi senza residenza.
Proposte pratiche per la Milano del 2027
In primo luogo, dobbiamo ragionare di come dare più poteri ai Municipi e rafforzarne l’identità. Una prima proposta in tal senso è quella di replicare il modello degli “Enforcement Officer” londinesi, dipendenti dei local council (i corrispettivi dei Municipi di Milano, seppur con dimensioni maggiori), incaricati di far rispettare regolamenti locali e ordinanze comunali. Non sono poliziotti, ma agenti civili con competenze limitate: possono, ad esempio, vigilare contro comportamenti antisociali, controllare il rispetto delle norme su rifiuti e pulizia urbana, verificare licenze commerciali e sanzionare infrazioni minori come il parcheggio irregolare o l’abbandono di rifiuti. Indossano una divisa con il logo del Council e un tesserino di riconoscimento, e collaborano con la polizia quando necessario.
Chiamiamoli per esempio “Custodi di comunità”: mettiamo in strada personale civile, adeguatamente formato, che si occupi di sicurezza supportando le forze dell’ordine (un colpo a destra) e di rispetto delle regole da parte degli automobilisti (un colpo a sinistra), che si occupi di decoro (un colpo a destra) e di inclusione sociale (un colpo a sinistra).
Diamo anche potere ai municipi di regolare autonomamente le proprie zone rosse: se è vero che c’è un problema di sicurezza in alcuni territori, mi trovo contrario a un approccio centralista che lasci decidere a un tetro ufficio ministeriale giù a Roma, o in qualche chiusa stanza della Questura, dove e per quali fatti intervenire. Lasciamo che siano le comunità a decidere quali sono le priorità di ciascun territorio: lasciamo che siano i consigli di Municipio a decidere quali sono le proprie zone critiche e quali sono i comportamenti anti-sociali che danneggiano le proprie comunità.
Anche su questo è interessante l’esempio di Londra, con i Public Spaces Protection Orders, ordinanze introdotte dai comuni inglesi per vietare specifici comportamenti in una determinata area pubblica – anche se tali comportamenti non sono crimini – quando danneggiano la qualità della vita locale.
E ancora: lasciamo che anche i milanesi-senza-residenza, ovvero i milanesi che hanno solo il domicilio in una qualche zona di Milano, possano votare per i consigli di Municipi. La loro voce conta! Anzi, sono una porzione troppo importante della cittadinanza milanese per non farli sentire accolti. Il Comune potrebbe quindi immaginare un kit di benvenuto da far recapitare a casa a tutti i neo-domiciliati di lungo corso: tutte e tutti coloro che si trasferiscono a Milano per un periodo superiore ai tre mesi per esempio, per uno stage, per un ciclo di studi, per un contratto a tempo determinato di una certa durata. Le istituzioni pubbliche, grazie alla digitalizzazione degli ultimi anni, sanno in tempo reale tutto ciò: basta mettere in comune in dati per recapitare a casa un volantino, un libretto di istruzioni, un gadget. E se si fa con i neo-domiciliati, a maggior ragione lo si fa anche con i neo-residenti. A quali inoltre si potrebbe offrire uno sgravio fiscale (niente Tari? Niente addizionale comunale?) per un periodo di qualche anno, per favorire lo spostamento della residenza. Il Comune ne avrebbe solo da guadagnare: nel breve periodo una maggiore contezza della sua popolazione e soprattutto un maggiore senso di appartenenza, nel lungo periodo maggior gettito fiscale.
Non dettagli, ma opere di originalità
Una delle sfide che Milano deve vincere per diventare un posto ancora migliore è quella di un maggiore legame tra i suoi abitanti e il suo tessuto urbano. Per farlo, penso sia necessario considerare la costruzione di un maggiore senso di comunità come una politica pubblica centrale, da perseguire con misure e idee mirate. Le elezioni del 2027 sono ancora lontane, e in questa fase possiamo permetterci di ragionare su idee di indirizzo generale, sacrificando per un momento i dettagli, ma giocando sul terreno della creatività e dell’originalità.
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