Le tradizioni sono a rischio estinzione, svaniscono senza rumore fra le nuove generazioni

Settembre 28, 2025 - 03:30
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Le tradizioni sono a rischio estinzione, svaniscono senza rumore fra le nuove generazioni

Mi metto sempre lungo il muro della passeggiata amare ad aspettarli. Quando ero bambino, arrivavo con grande anticipo per non avere nessuno davanti a coprirmi la visuale e poterli vedere da vicino. Anche adesso, comunque, non arrivo mai in ritardo. Sempre di sabato, sempre all’ora del tramonto, sempre a metà luglio. Fin da piccolo avevo capito qual è il punto perfetto dove stare: esattamente a metà della prima discesa, tra la piazza e il porticciolo. Mi metto lì e il tempo prende una forma diversa: sospesa, una forma in cui non c’è fretta e non c’è noia, solo un’attesa emozionata. Il suono della campana annuncia la partenza dalla chiesa, da quel momento la processione si mette in movimento e io so che in pochi minuti appariranno.

Procedono lentissimi, accompagnati a tratti dalla musica della banda comunale. Quando compare il primo dei «Cristi» nessuno parla più, e gli occhi si rivolgono verso l’alto. Tutti guardano quelle statue meravigliose, immense croci intagliate nel legno, piene di fiori e foglie d’oro e d’argento. Su ognuna di queste c’è un Gesù a grandezza naturale. Ci sono i Cristi bianchi e c’è quello nero, che è il più maestoso e potente, con una corona di spine fatta di raggi dorati. Io però non guardo all’insù, io guardo gli uomini che li trasportano, le loro mani, i loro piedi, i piccoli passi ritmati, la loro capacità di stare in equilibrio, il sudore che scende sulle loro fronti. Ho scoperto che in dialetto genovese li chiamano i cristezanti, i portatori di Cristo.

Sono vestiti con cappe bianche, strani cappelli a turbante, fatti arrotolando lunghi teli di cotone. Indossano un’imbragatura di fasce di cuoio, incrociata sulla schiena, necessaria a sostenere sul davanti una sorta di piccolo bicchiere, sempre di cuoio intrecciato, in cui si infila il piede del crocifisso. Pesano tantissimo, i crocifissi, per sollevarli ci vogliono tre persone: alcuni superano il quintale. Il punto della passeggiata a mare dove aspetto è quello in cui avviene il cambio tra i portatori, il momento di massima concentrazione.

A un segnale prestabilito, che non sono mai riuscito a capire, l’uomo che porta il grande Cristo si ferma. Si mette immobile a gambe larghe, mentre tre persone, anche loro vestite di bianco ma senza il piccolo turbante in testa, gli si fanno intorno aspettando l’attimo esatto in cui intervenire, poi sollevano la croce e la tengono in aria. Il gesto fa tintinnare tutte le foglie argentate, come fosse uno scroscio di pioggia. Il primo portatore, liberato dal peso, scarta di lato e viene immediatamente sostituito da un altro che si mette in posizione. Anche lui con le gambe larghe, ben piantate e leggermente piegate. Una volta che il Cristo viene inserito nel pozzetto della sua cintura, si aspetta che la croce smetta di dondolare, che tutto torni in equilibrio, e allora il nuovo portatore comincia a camminare. I più esperti incrociano le mani dietro la schiena e, per evitare che si muova troppo, tengono la base della croce appoggiata tra la spalla destra e il collo. I loro movimenti seguono il ritmo della banda, così il tintinnare delle foglie diventa parte della musica.

Da bambino li guardavo con un misto di timore e di stupore. Credevo fossero macellai, per via del grembiule. Immaginavo fossero uomini diversi dagli altri. Persone fuori dal comune, di un altro mondo e di un altro tempo. Solo molti anni dopo avrei saputo che appartengono a confraternite che esistono da secoli, che ripetono riti nati più di seicento anni fa. Pensavo fossero obbligati a quella fatica, che avessero fatto qualcosa di male, che fosse una sorta di espiazione. Crescendo ho iniziato a fare domande. Non riuscivo a credere che lo scegliessero liberamente, che anzi ci fosse una selezione e dopo molte prove e molto allenamento solo alcuni conquistassero quell’opportunità. Per me era stupefacente che ci fossero persone che facevano a gara per ottenere la possibilità di sottoporsi a uno sforzo immenso, a una prova che mi sembrava rischiosa e pericolosa, senza possibilità di errore.

È stato davanti a quella processione annuale per la festa della Madonna del Carmine che ho capito per la prima volta che esiste anche la ricerca della fatica, il piacere di misurarsi con se stessi, di superare il limite. Quel rito, con la sua forza evocativa e i suoi suoni, è una tradizione che non ho mai perso nella mia vita, non ho mai saltato un appuntamento: anche quando vivevo dall’altra parte dell’oceano Atlantico ho sempre preso l’aereo per non mancare. Era l’omaggio che dovevo al mio stupore di bambino. La processione si è tenuta ogni anno, un paio di volte hanno dovuto rinviare i fuochi d’artificio, quelli che alla fine della serata vengono sparati dal molo, per via del vento che soffiava dal mare e rendeva tutto troppo pericoloso. Poi è arrivato il Covid e c’è stato il primo stop.

Ma quando l’emergenza è finita si è capito che c’era qualcosa di più, stava affiorando un problema diverso, figlio non del virus ma di una mutazione dei costumi. A dirlo ad alta voce ci ha pensato un articolo di giornale passato di mano in mano in paese e rilanciato sui social, soprattutto su Facebook, dal titolo: Bogliasco, addio alla storica processione: non si trovano portatori peri pesanti Cristi. Nel testo si raccontava la storia e si spiegava che non ci sono più giovani disposti a fare i cristezanti e così la manifestazione veniva cancellata, forse per sempre.

Ricordo che quando l’ho letto mi sono sentito smarrito, come se mi avessero portato via un pezzo d’infanzia. I commenti in piazza erano tutti dello stesso tenore: «Non ci sono più i giovani», «Non hanno più voglia di fare fatica», «Non hanno a cuore la tradizione». Sono andato a parlarne con il sindaco Luca Pastorino, che ha fatto il primo mandato quando era molto giovane, e la sua lettura dei fatti era diversa, per lui quello della fatica era un falso problema: «Abbiamo una bella squadra di pallanuoto e sono ragazzi che si allenano tutti i giorni e fanno una fatica mostruosa. Nelle generazioni più giovani i muscoli non mancano: i ragazzi corrono, vanno in palestra, fanno surf, canottaggio. È un problema di trasmissione della tradizione, non di mancanza di forza».

(…) Sono andato a parlare dei miei dubbi con un uomo che a quella tradizione ha dedicato tutta la vita scrivendoci anche dei libri: si chiama Pier Luigi Gardella ed è il priore della Confraternita della Chiesa di Santa Chiara a Bogliasco, una delle tante sparse in ogni paese del Levante ligure. (…) «Qui sono rimasti solo tre anziani e non siamo mai riusciti a coinvolgere i ragazzi. Nell’entroterra, invece, la tradizione è più salda e i ragazzi si trovano ». Un tempo facevano a gara per portarli, all’inizio del Novecento veniva addirittura organizzata un’asta tra chi voleva portare il crocifisso e questo onore veniva concesso solo ai migliori offerenti.

(…) Per non cancellare la processione, che segnerebbe la fine della festa patronale, il momento più importante e atteso dell’estate, a Gardella non è rimasto che chiedere aiuto alle confraternite vicine, da Rapallo a Santa Margherita fino all’entroterra, per portare i Cristi di Bogliasco. In cambio offre loro la cena. «Il rischio che questa tradizione scompaia esiste, ma io vedo anche un risveglio».

Pier Luigi Gardella però è preoccupato e, prima di salutarmi, alza lo sguardo verso la montagna. «Qui sono scomparsi tutti i lavori della fatica, a Bogliasco non c’è più il falegname, non c’è più il fabbro, ma la grande paura è che crollino i muretti a secco delle nostre colline. Forse non ce ne rendiamo conto, ma senza i muretti non si sarebbero costruite le case. Servono a trattenere le acque, le frenano, ma la terra non è più coltivata e l’acqua rischia di trascinare giù tutto. Penso alla fatica di costruire a mano 10.000 chilometri di muretti a secco. Quelli di tutta la Liguria sono pari alla Grande Muraglia cinese. Lasciarli scomparire è un delitto.

 

Tratto da Alzarsi all’alba, di Mario Calabresi, ed. Mondadori, 168 pagine, 17,58€

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