Riforma della giustizia: via libera alla Camera, ora la parola passa al Senato e poi agli italiani

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Il percorso della riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati compie un passo avanti.
La Camera dei Deputati ha approvato in terza lettura il disegno di legge con 243 voti favorevoli e 109 contrari, aprendo la strada all’ultima tappa parlamentare: il voto finale del Senato.
Non essendo stata raggiunta la soglia dei due terzi dei consensi, sarà necessario un referendum confermativo, come previsto dall’articolo 138 della Costituzione. La data dovrebbe essere intorno alla prima metà del 2026.
Le reazioni politiche: tra entusiasmo e scontri in Aula
Il voto della Camera ha scatenato un acceso scontro politico. Per il centrodestra, la riforma rappresenta un obiettivo storico: secondo la premier Giorgia Meloni, si tratta di un passo fondamentale per rendere il sistema giudiziario più trasparente ed efficiente. Lo stesso entusiasmo è stato condiviso anche da Antonio Tajani, che ha parlato di “riforma storica” pur respingendo le accuse di aver tenuto atteggiamenti provocatori nei confronti delle opposizioni.
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha ribadito che la battaglia contro la riforma continuerà anche attraverso lo strumento del referendum, accusando il governo di coltivare una “ossessione del potere” e di minacciare l’indipendenza della magistratura.
Tensione in Aula palpabile: proteste, accuse reciproche e un clima che ha messo in evidenza quanto la riforma della giustizia rappresenti un terreno di scontro politico di primissimo piano.
Cosa prevede la riforma
Al di là però del dibattito politico, il fulcro della riforma è la separazione delle carriere: i magistrati dovranno scegliere sin dall’inizio se intraprendere la funzione di giudice o quella di pubblico ministero, senza più possibilità di passaggi successivi.
Il provvedimento introduce anche l’istituzione di due Consigli Superiori della Magistratura, uno per i giudici e uno per i pm, entrambi guidati dal Presidente della Repubblica. Membri di diritto saranno il procuratore generale e il secondo presidente della Corte di Cassazione, mentre gli altri componenti verranno individuati in parte tramite sorteggio. I membri rimarranno in carica per quattro anni.
Un’altra novità di rilievo riguarda l’istituzione di una Alta Corte disciplinare, incaricata di gestire i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati, sottraendo così questa competenza ai futuri Csm.
La parola ai cittadini
L’articolo 118 della Costituzione, al comma 2, prevede che le leggi di revisione della costituzione “sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.”
Il comma 3 invece dispone che “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”
Nel caso di specie, l’approvazione alla Camera è arrivata senza la maggioranza qualificata dei due terzi, motivo per cui, se anche la riforma venisse approvata da due deliberazioni del Senato con la maggioranza dei due terzi, il ricorso al referendum confermativo sarebbe comunque necessario. Pertanto, entro tre mesi dalla conclusione dell’iter parlamentare, le opposizioni o la stessa maggioranza potranno presentare la richiesta di referendum.
A differenza dei referendum abrogativi, quello confermativo non prevede quorum: la riforma entrerà in vigore soltanto se otterrà la maggioranza dei voti validamente espressi.
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