Interferenze politiche: la caldera nascosta nella macchina pubblica

Settembre 9, 2025 - 04:30
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Interferenze politiche: la caldera nascosta nella macchina pubblica

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Siamo alle porte di Roma, in un Comune come tanti. Un’inchiesta della Procura di Civitavecchia svela un sistema di appalti pilotati e interferenze politiche che avrebbe condizionato per anni la vita amministrativa, trasformando uffici e procedimenti in strumenti piegati a interessi privati. Un vero e proprio sequestro della funzione pubblica.

Il periodo sotto osservazione va dal 2016 al 2023. In quegli anni, spiegano i magistrati, le gare e gli affidamenti avrebbero seguito una regia precisa, con imprenditori e politici che decidevano insieme tempi, modi ed esiti delle procedure. Un copione che, secondo la Guardia di Finanza, si è trascinato fino al 2024, coinvolgendo anche figure della nuova amministrazione.

La parte centrale dell’inchiesta riguarda l’allora Assessora alla cultura. Cultura, si fa per dire: perché la descrizione del gip somiglia più al ritratto di un capo clan che di un soggetto che riveste il ruolo di vertice politico di un’amministratrice pubblica.
Le intercettazioni e le testimonianze restituiscono l’immagine di

un assessore che ha travalicato il limite e, lungi dal dettare esclusivamente l’indirizzo politico, si è capillarmente ingerita nell’azione amministrativa, pretendendo di stabilire tempi, modi e contenuti, attuando pesanti ritorsioni nei confronti di coloro che non hanno assecondato i suoi disegni.

Il gip parla apertamente di una gestione in cui l’investitura politica è stata strumentalizzata per “tiranneggiare e distribuire prebende in favore di accoliti e imprenditori compiacenti”, dando vita a una macchina clientelare mascherata da amministrazione della cultura.

Il quadro che emerge è quello di una macchina amministrativa ingessata (noi diciamo “sequestrata”), in cui ogni pratica doveva attendere il via libera politico. Un obbligo non scritto: nessun atto, secondo la Procura, poteva procedere senza il timbro dell’assessora. Una dinamica che ha trasformato uffici e dirigenti in strumenti subordinati, incapaci di garantire autonomia e legalità.

Fin qui la cronaca. Ma il paradosso è un altro. Sono anni che noi di Spazioetico giriamo l’Italia per fare formazione sull’etica pubblica e l’anticorruzione. Non abbiamo mai trovato un’amministrazione che abbia inserito nella propria mappatura dei rischi le interferenze politiche, gerarchiche o sindacali. Eppure sono fenomeni diffusi e dentro le organizzazioni nessuno può ignorarli. Non sono solo generatori di corruzione: sono fonti di malessere che allontanano le persone dal lavoro pubblico.

Per decenni abbiamo discusso del nulla, cercando le cause dell’“emorragia” di dipendenti pubblici nei posti sbagliati: stipendi non competitivi, troppa burocrazia, scarse prospettive di carriera. Tutto vero, ma tutto parziale. La verità è che un numero crescente di funzionari e impiegati se ne va perché è insopportabile lavorare in un contesto dove le regole non contano e il potere si esercita attraverso la pressione indebita.

Così, mentre si discute di welfare aziendale, smart working e premi di produttività, si evita accuratamente di nominare il vero convitato di pietra: la cultura dell’interferenza e del sopruso, che corrode l’etica e trasforma i luoghi di lavoro in territori ostili.

Far finta che non esistano le interferenze politiche è davvero grottesco e paradossale. Immaginate di amministrare un Comune alle pendici del Vesuvio o sopra la caldera dei Campi Flegrei e di stabilire che, nei piani di protezione civile, non occorre contemplare il “rischio eruttivo”.

Ecco, ignorare le interferenze politiche nelle mappature dei rischi significa intraprendere un esercizio di autoinganno collettivo. Con la conseguenza che quella che molti chiamano “prevenzione della corruzione”, assomiglia spesso a un rito scaramantico.

Articolo di Massimo Di Rienzo e Andrea Ferrarini di Spazioetico.com

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