Nuove regole, vecchi attriti. Il Patto per la migrazione e l’asilo alla prova della solidarietà tra Stati membri

Ottobre 15, 2025 - 18:00
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Nuove regole, vecchi attriti. Il Patto per la migrazione e l’asilo alla prova della solidarietà tra Stati membri

Bruxelles – Gira che ti rigira, si torna sempre lì. A Dublino, ai movimenti secondari, alle diffidenze tra i Paesi membri, ad una solidarietà promessa ma sempre condizionata. A otto mesi dalla scadenza per l’implementazione del Patto per la Migrazione e l’asilo, i ministri degli Interni dei 27 si sono riuniti a Lussemburgo per fare il punto, ma anche per avanzare sulle radicali proposte sui rimpatri messe sul piatto nell’ultimo periodo dalla Commissione europea.

Prima di tutto, il Patto e la traballante equazione tra responsabilità e solidarietà che lo regge. La Commissione europea avrebbe dovuto presentare in questi giorni alcuni documenti cruciali per mettere in moto quel meccanismo di solidarietà obbligatoria, che imporrà a tutti i 27 di garantire – sulla base del proprio Pil e della popolazione – ricollocamenti di persone migranti, contributi finanziari o supporto a Paesi terzi.

Anneleen Van Bossuyt, ministra per l’Asilo e la Migrazione del Belgio, ha illustrato una posizione che rappresenta – con le sfumature del caso – quella di tutti i Paesi membri di dimensioni medio-piccole che sono toccati solamente da movimenti secondari di persone migranti. “Per noi è importante che la Commissione riconosca che il Belgio ha già un onere sproporzionato”, ha affermato al suo arrivo a Lussemburgo, precisando che il governo federale ha deciso che contribuirà al meccanismo di solidarietà solo con “mezzi finanziari, perché i nostri centri di accoglienza sono pieni“. Van Bossuyt ha messo in chiaro che il Belgio è pronto a pagare “a condizione che anche tutti gli altri si assumano le loro responsabilità”. Un avvertimento ai Paesi di primo arrivo: “Solidarietà e responsabilità vanno di pari passo, ogni Paese deve applicare le norme di Dublino”.

Concetto ribadito dal suo omologo svedese, Johan Forssell: “Crediamo in questo modello, ma senza Dublino non può esserci solidarietà“, ha affermato, rivendicando il fatto che la Svezia “ha accolto tantissime persone in cerca di asilo negli ultimi dieci anni” pur essendo “solo un Paese di medie dimensioni con 11 milioni di abitanti”. Ognuno guarda al proprio orto, e all’importanza del dibattito sull’immigrazione nella propria politica nazionale: il ministro degli interni polacco, Marcin Kierwiński, ha assicurato che “per molti anni non si parlerà di alcun trasferimento che coinvolga la Polonia”. Come già affermato dal premier europeista Donald Tusk, Varsavia vuole essere “esente da questi meccanismi” e “non accetterà mai soluzioni che potrebbero essere potenzialmente pericolose” per i propri cittadini.

Magnus Brunner, commissario per gli Affari interni e la migrazione [foto: Christophe Licoppe/imagoeconomica]
Non solo, il ministro polacco ha detto di aspettarsi “il sostegno di tutti i Paesi dell’Unione europea” per i costi sostenuti per proteggere il confine orientale dell’Unione. A sentire i ministri presenti a Lussemburgo, tutte le capitali stanno affrontando una pressione migratoria tale da non poter aiutare gli altri. Di ricollocamenti, non ne vuole sentire parlare nessuno. Il ministro spagnolo, Fernando Grande-Marlaska, alla fine afferma che per Madrid “è uguale”, vanno bene sia i ricollocamenti sia i finanziamenti “di progetti di migrazione irregolare e di promozione di flussi regolari” .

Ecco perché la Commissione europea ha preferito rimandare la presentazione del meccanismo, con le fotografie attuali della situazione negli Stati membri. “Siamo ancora in fase di consultazione, ecco perché oggi non l’abbiamo presentata”, ha commentato brevemente il commissario per gli Affari interni, Magnus Brunner a margine dei lavori, sottolineando la “collaborazione e disponibilità tra gli Stati membri per attuare questa riforma”.

La situazione non cambia poi molto su un altro file in agenda, quello relativo alla proposta di regolamento sui rimpatri, e in particolare al mandato europeo di rimpatrio, che permetterebbe il reciproco riconoscimento degli ordini di rimpatrio tra i Paesi membri. Inizialmente volontario, il piano della Commissione sarebbe rendere il riconoscimento reciproco obbligatorio entro il 2027. Anche qui, gli Stati si dividono tra i Paesi di primo arrivo e chi è maggiormente interessato da movimenti secondari. Per la Spagna, la validità reciproco degli ordini di rimpatrio dovrebbe essere obbligatoria il prima possibile. Per il Belgio, “è importante evitare che i Paesi che hanno un carico elevato a causa dei movimenti secondari diventino vittime di questo riconoscimento reciproco”.

La ministra belga ha affermato: “È facile imporre l’obbligo di lasciare il territorio, ma se poi le persone si spostano verso un altro paese, come il Belgio, avremmo noi l’obbligo di effettuare i rimpatri effettivi”. Anche Stoccolma è “molto scettica” per un modello “che potrebbe aumentare la burocrazia”.

La presidenza danese del Consiglio dell’Ue è determinata a raggiungere un mandato negoziale sul regolamento sui rimpatri – che prevede anche il via libera al controverso progetto dei return hubs – entro dicembre. Brunner si è detto ottimista, anche se “ci sono ancora alcuni dettagli da limare per trovare un compromesso”. C’è da superare l’eterna divisione tra Paesi di primo e secondo arrivo.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia