«Progetto Carceri», alla Statale i detenuti si laureano
Studenti davanti al carcere di Bollate (foto Unimi)«Un concreto seguito a quel principio della rieducazione della pena finalizzato al reinserimento sociale, che risulta oggi purtroppo manifestamente disatteso nella drammatica situazione in cui versa il sistema penitenziario nazionale. Un efficace antidoto al pregiudizio, che troppo spesso recede davanti alla complessità della vicenda umana». Con queste parole Marina Brambilla, rettrice dell’Università degli Studi di Milano, ha riassunto il significato più profondo del «Progetto Carceri» nel decimo anniversario di attività.

I numeri
Nato nel novembre 2015, il progetto ha saputo trasformare in poco tempo il Polo Universitario Penitenziario della Statale in un punto di riferimento in Italia ed Europa. In questi anni, ha permesso a 24 persone in esecuzione penale di conseguire la laurea, coinvolgendo circa 600 tutor e 35 docenti titolari di corsi. Sono stati organizzati 55 laboratori e corsi didattici, per un totale di oltre mille ore di lezione, che si sono svolti negli istituti penitenziari con la presenza congiunta di studenti ristretti e liberi e che hanno portato quasi 1.200 studenti esterni a confrontarsi direttamente con la realtà carceraria.
Attualmente sono 175 gli studenti ristretti iscritti, di cui 9 studentesse e 166 studenti, ospiti di otto istituti penitenziari lombardi: Opera, Bollate, Milano San Vittore, Vigevano, Voghera, Pavia, Monza e Lodi. L’offerta formativa seguita dagli iscritti comprende 34 corsi di laurea, con una particolare concentrazione nei corsi triennali. Filosofia – dipartimento in cui il progetto è nato – resta il corso più frequentato, seguito da Scienze politiche, Scienze umanistiche per la Comunicazione, Scienze dei Servizi giuridici e Giurisprudenza. La maggior parte degli studenti ristretti ha più di trent’anni, con una significativa partecipazione di persone oltre ai 60 anni. Gli studenti provengono prevalentemente dal circuito di media sicurezza, ma il progetto raggiunge anche chi si trova in alta sicurezza, nel regime del 41 bis, in comunità o in misure alternative. Nel 2024 sono stati sostenuti 255 esami, mentre nel 2025 sono già 250 le prove con cui gli studenti si sono misurati, con il supporto di 170 tutor.

Un valore per tutti
«In questo decennio il progetto ha dato agli studenti della Statale l’opportunità di fare un’esperienza formativa e di crescita personale di inestimabile valore per il loro futuro di cittadine e di cittadini, approcciando direttamente vicende difficili e troppo spesso ai margini – ha aggiunto Brambilla -. Centinaia di nostri studenti in questo modo hanno potuto dare al proprio percorso formativo un significato ulteriore e più profondo».

Su questa linea Stefano Simonetta, prorettore ai Servizi agli studenti e Diritto allo studio e referente di Ateneo per il Progetto Carcere, ha ricordato come questa iniziativa abbia assunto nel tempo «un valore molto elevato non solo per chi se ne è giovato da dentro, ma anche per chi ha partecipato da fuori».

Diritto, non privilegio
Alla domanda sul perché Filosofia sia il corso più frequentato, Simonetta ha risposto che «la filosofia e il carcere sono inevitabilmente compagne di cella da sempre. Da Socrate in avanti, gran parte della filosofia è stata immaginata, pensata o scritta da tanti filosofi finiti in carcere, il quale, chiudendo le mura, lascia spazio ai pensieri». «Volevamo sopperire a un sistema di istruzione che sembra aver rinunciato a presidiare alcune aree delle città e delle regioni. Volevamo invertire quel processo che tende a rendere i detenuti estranei, occupare quegli spazi e creare relazioni tra interno e esterno», ha proseguito Simonetta, sottolineando come «la parola chiave è diritto allo studio. E in quanto tale deve essere di tutti, altrimenti è un privilegio. Non posso quindi non esprimere preoccupazione su alcune nubi all’orizzonte: per esempio la mancata autorizzazione a corsi misti tra studenti ristretti e non, giustificata in nome di una “sicurezza ristrettiva”. Ma togliere diritti non garantisce sicurezza, è solo un’illusione».
Avere uno scopo
Guido ha studiato Scienze dell’alimentazione e ha affermato che questo progetto «è stato molto utile, soprattutto per avere uno scopo, per riuscire a non buttare il tempo e perseguire l’obiettivo di automigliorarsi. E vedere così tanti ragazzi dimostra che qualcuno capisce che riuscire a dare delle possibilità a persone che ne hanno realmente poche può solo dare speranza, che poi si riflette quando lo studio ti fa capire che puoi avere altre possibilità».
Rocco ha invece raccontato come il Progetto Carcere lo abbia aiutato «a emancipare me stesso dalla mia mentalità e dalla mia cultura: ha preso il criminale facendo uscire il cittadino. Il mio primo passo verso la cittadinanza è stato proprio pagare la tassa universitaria, mentre studiare Filosofia ha fatto nascere dubbi che mi hanno aiutato a evolvere».
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




