Rilevazioni presenze sotto accusa: il Garante privacy difende i dipendenti pubblici

Settembre 11, 2025 - 19:30
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Rilevazioni presenze sotto accusa: il Garante privacy difende i dipendenti pubblici

lentepubblica.it

Un recente provvedimento del Garante della Privacy, nell’ambito delle rilevazioni delle presenze dei dipendenti pubblici, ha riacceso il dibattito sul delicato equilibrio tra diritto alla trasparenza e necessità di salvaguardare la riservatezza dei lavoratori.


La questione nasce da una richiesta di accesso civico riguardante le presenze di un dipendente pubblico in un periodo limitato di tempo, con l’obiettivo di ottenere copia dei fogli firma o dei registri elettronici utilizzati dall’amministrazione per rilevare gli orari di ingresso e uscita.

L’istanza è stata respinta dall’ente interessato, che ha motivato il diniego richiamando il rischio concreto di ledere la sfera privata dell’individuo coinvolto. Una decisione che ha generato contestazioni da parte del richiedente, determinando l’intervento dell’Autorità garante, chiamata a chiarire i limiti normativi entro cui si muove la disciplina sulla trasparenza.

Il quadro normativo

La legge sulla pubblicità degli atti amministrativi riconosce a chiunque il diritto di accedere a dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di favorire forme diffuse di controllo sull’operato degli uffici e sull’utilizzo delle risorse collettive. Tuttavia, questo diritto non è assoluto. La stessa normativa stabilisce infatti che l’accesso deve essere negato quando sussista un rischio concreto di pregiudizio per interessi giuridicamente rilevanti, tra i quali spicca la protezione dei dati personali.

Il concetto di “dato personale”, definito dal regolamento europeo sulla privacy, include qualsiasi informazione che possa identificare direttamente o indirettamente una persona. Nel caso specifico delle presenze lavorative, si tratta di informazioni che rivelano abitudini quotidiane, routine professionali, orari di spostamento e persino motivazioni legate alle assenze. Dati che, se diffusi senza filtri, potrebbero compromettere la sfera privata e la sicurezza del lavoratore interessato.

Perché la trasparenza trova un limite

L’Autorità ha sottolineato che, a differenza dell’accesso previsto dalla legge sul procedimento amministrativo — che richiede la dimostrazione di un interesse diretto e concreto — l’accesso civico comporta la pubblicità generalizzata dei documenti. In altre parole, una volta accolto, chiunque potrebbe consultare, utilizzare e riutilizzare le informazioni ottenute.

Questo regime di ampia divulgazione accresce i rischi di un uso improprio dei dati. Conoscere con esattezza gli orari di entrata e uscita di un dipendente, ad esempio, può facilitare intrusioni nella vita privata o persino mettere a repentaglio la sua sicurezza. Inoltre, anche un’eventuale oscuramento parziale dei documenti — eliminando, ad esempio, le motivazioni delle assenze — non eliminerebbe il problema, poiché elementi come il numero di matricola o altri dettagli contestuali permetterebbero comunque di identificare la persona.

Le aspettative di riservatezza

Un ulteriore punto sollevato riguarda le ragionevoli aspettative di chi fornisce i propri dati. Quando un lavoratore registra le presenze, non può prevedere che quelle informazioni possano diventare di dominio pubblico. Si tratta infatti di dati raccolti per finalità amministrative specifiche, come la gestione del personale e la verifica delle ore lavorate, non certo per essere messi a disposizione della collettività.

Il principio di “minimizzazione dei dati”, sancito dal regolamento europeo, prevede che le informazioni raccolte siano pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per cui vengono trattate. Rendere pubblici orari e registrazioni individuali significherebbe andare ben oltre lo scopo originario.

Cosa deve essere pubblicato

La normativa italiana sulla trasparenza stabilisce già un obbligo preciso per le amministrazioni: pubblicare periodicamente i tassi di assenza del personale, suddivisi per uffici dirigenziali. Si tratta di dati aggregati e anonimi, che permettono di monitorare l’efficienza della macchina pubblica senza compromettere l’identità dei singoli.

Oltre a questa forma di pubblicità, non esistono obblighi di rendere conoscibili i dettagli delle presenze individuali. L’Autorità ha ribadito che qualunque ulteriore diffusione rischierebbe di oltrepassare i limiti fissati dalla legge, trasformandosi in una violazione dei diritti dei lavoratori.

Precedenti e giurisprudenza

La posizione assunta non rappresenta un caso isolato, ma si inserisce in una linea interpretativa costante. Negli ultimi anni, l’Autorità ha più volte respinto richieste di accesso civico a dati sulle timbrature dei dipendenti pubblici, sottolineando come la loro diffusione indiscriminata sia incompatibile con la tutela della riservatezza.

Anche la giurisprudenza amministrativa ha confermato in varie occasioni che informazioni relative ad assenze, permessi o malattie non possono essere considerate di dominio pubblico. Tali dati, se divulgati, potrebbero generare conseguenze negative non solo sul piano professionale, ma anche nelle relazioni sociali e personali degli interessati.

Interessi pubblici e interessi privati

L’Autorità ha inoltre osservato che, nel caso specifico, non sembrava emergere un chiaro interesse collettivo a giustificazione della richiesta. Le ripetute istanze presentate dall’autore della domanda lasciavano piuttosto intravedere motivazioni di natura privata, non collegate alla finalità di controllo diffuso sulle attività dell’amministrazione.

È questo un elemento importante: il diritto all’accesso civico è concepito per rafforzare la partecipazione democratica e vigilare sull’uso delle risorse pubbliche, non per risolvere controversie personali o monitorare i comportamenti di un singolo dipendente.

Le alternative possibili

Il diniego all’accesso civico non significa che i documenti siano del tutto irraggiungibili. Esiste infatti un altro strumento, quello dell’accesso ai documenti amministrativi previsto dalla legge sul procedimento, che può essere utilizzato da chi riesca a dimostrare un interesse diretto e attuale. In quel caso, l’amministrazione valuta caso per caso se consentire la visione dei documenti richiesti, sempre nel rispetto dei principi di proporzionalità e tutela dei dati sensibili.

Una linea di confine da non superare

Il provvedimento in questione ribadisce con chiarezza un punto fondamentale: la trasparenza è un valore essenziale per garantire legalità ed efficienza nella pubblica amministrazione, ma non può trasformarsi in una forma di esposizione indiscriminata dei lavoratori.

La pubblicità dei tassi di assenza, prevista dalla legge, assicura già uno strumento di controllo sull’organizzazione degli uffici. Andare oltre, rendendo accessibili i registri individuali delle presenze, significherebbe compromettere il diritto alla privacy e aprire la strada a potenziali abusi.

La sfida per le amministrazioni, e più in generale per il sistema pubblico, è dunque quella di continuare a promuovere trasparenza e partecipazione senza sacrificare diritti fondamentali. In questo equilibrio sottile si gioca una partita decisiva per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Rilevazioni presenze dipendenti pubblici: il parere del Garante della Privacy

Qui il documento completo.

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