Antonio Russo ha raccontato l’orrore della Russia di oggi un quarto di secolo fa

Ottobre 17, 2025 - 09:30
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Antonio Russo ha raccontato l’orrore della Russia di oggi un quarto di secolo fa

È passato un quarto di secolo dall’omicidio di Antonio Russo, il giornalista di Radio Radicale ucciso vicino a Tbilisi, in Georgia, nella notte tra il 15 e 16 ottobre del 2000, mentre indagava sui crimini di guerra russi in Cecenia e si apprestava a rendere nota la documentazione raccolta, di cui aveva imprudentemente fatto cenno alla madre al telefono, due giorni prima di essere ucciso.

La sua figura rimane in larga misura sconosciuta all’opinione pubblica nazionale e negletta dai suoi colleghi, in particolare da quelli che si occupano di politica internazionale. Non ne sopportavano da vivo né l’etica né l’estetica militante, e neppure una deontologia dei fatti, che mal si concilia con l’inveterata abitudine di contraffarli, per renderli compatibili con qualche filosofia della storia. Quindi, dopo la sua morte, si sono ben guardati dall’officiare la beatificazione professionale di quello che hanno sempre considerato uno spericolato abusivo (del resto, non si iscrisse mai neppure all’Ordine dei giornalisti).

Dei vari fronti di guerra che Russo ha frequentato, gli ultimi due, quello ex jugoslavo in Kosovo e in particolare quello russo in Cecenia, sono stati per molti versi profetici di tutte le guerre che in futuro avrebbero funestato l’Europa. Dalle sue corrispondenze avremmo potuto anticipare e prevedere le convulsioni della storia est europea e l’espansionismo del regime putiniano, che ai tempi tutti in Italia, ad eccezione dei radicali di Marco Pannella, interpretavano come una sorta di dispotismo illuminato filo-occidentale.

La verità è che a Russo non è stato perdonato professionalmente ciò che non è stato perdonato politicamente a Pannella: di avere avuto ragione contro la negligenza e la superbia di chi riteneva paranoie anacronistiche i loro allarmi sui pericoli da est, proprio mentre l’Unione europea si apprestava a inglobare gran parte dell’Europa post-sovietica e la Russia sembrava quasi sul punto di entrare nella Nato. 

Le guerre cecene furono il laboratorio in cui Putin sperimentò non solo le strategie militari terroristiche che più di vent’anni dopo avremmo visto all’opera in Ucraina, ma anche le narrative strategiche russe e la loro facile penetrazione nell’opinione pubblica occidentale. In Cecenia era partito per Putin il processo di restaurazione del Russkiy Mir

In Cecenia non si stava affatto svolgendo un regolamento di conti contro una minoranza ribelle, ma la costruzione di una nuova Russia, che – voltando le spalle al processo di occidentalizzazione – avrebbe vendicato la fine dell’Unione sovietica. Ciò che Putin ha fatto in Cecenia era la promessa di guerra che stava facendo al mondo. Mentre Pannella lo diceva e Russo lo documentava, in Italia nessuno lo capiva e praticamente nessuno l’avrebbe capito fino al 24 febbraio 2022.

Al radicalismo pannelliano e a tutti i suoi storici protagonisti, tra cui Antonio Russo va indubbiamente annoverato, malgrado la morte precoce, si concede volentieri la generosità, l’ispirazione morale, la devozione per i valori della libertà e della democrazia. 

Meno frequentemente si riconosce la lucidità dell’analisi e uno speciale carisma profetico nella lettura dei segni dei tempi, che non derivava da qualche potere sovrannaturale e neppure da una specifica conoscenza settoriale, ma da una libertà intellettuale affrancata dagli obblighi di amicizia e inimicizia, dalle affiliazioni ideologiche e dai determinismi storici e geografici sembrano definire la misura (anziché, popperianamente, la miseria) della scienza e militanza politica.

Contro l’idolatria del realismo, che impedisce di vedere la realtà che c’è e annunciare quella che si prepara, quel singolarissimo giornalista insieme al suo singolarissimo (se così lo vogliamo chiamare) editore un quarto di secolo fa raccontavano già la Russia di oggi e la cecità di chi non accettava che la guerra alla libertà, alla democrazia e allo stato di diritto, che sembrava confinata nella piccola Grozny, avrebbe in breve tempo infiammato l’Europa.

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