Comunali in Danimarca, gli elettori bocciano la svolta a destra dei socialdemocratici della premier Frederiksen

Novembre 19, 2025 - 20:30
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Comunali in Danimarca, gli elettori bocciano la svolta a destra dei socialdemocratici della premier Frederiksen

Bruxelles – La premier danese Mette Frederiksen avrebbe preferito un regalo di compleanno diverso. Invece, quello che le è toccato scartare oggi (19 novembre) è il risultato delle elezioni amministrative, che ieri sera hanno sancito una brusca battuta d’arresto per il suo Partito socialdemocratico (SD). Soprattutto a Copenaghen, dove è stato detronizzato per la prima volta in 122 anni.

Non accadeva dal 1903 che la capitale danese non fosse sotto il controllo del centro-sinistra, e da quando è stata introdotta, nel 1938, la carica di sindaco è sempre stata appannaggio dei socialdemocratici. Ora, invece, il timone è nelle mani di Sisse Marie Welling, volto di punta del Partito popolare socialista (Socialistisk Folkeparti, SF) che ha raccolto il 17,9 per cento dei consensi, quasi 7 punti percentuali in più rispetto all’ultima tornata elettorale del 2021.

In realtà, l’SF è arrivato secondo dietro agli eco-socialisti della Lista Unità (Enhedslisten, EL), confermatisi primo partito col 22,1 per cento (seppur in lieve flessione rispetto al 24,6 per cento di quattro anni fa). L’accordo tra SF, EL e altri partner minori è stato chiuso stamattina: “Abbiamo scritto la storia in municipio”, il commento entusiasta di Welling. La sfidante socialdemocratica, Pernille Rosenkrantz-Theil, stretta alleata della premier, è rimasta inchiodata al 12,7 per cento, un crollo verticale rispetto al 17,2 per cento del 2021.

Sisse Marie Welling
La leader del Partito popolare socialista (SF) e neo-sindaca di Copenaghen, Sisse Marie Welling (foto: Ida Marie Odgaard/Afp)

In uno schiaffo simbolico, Rosenkrantz-Theil non è nemmeno stata invitata a prendere parte nei negoziati per dare a Copenaghen un nuovo governo. Le forze a sinistra dell’SD hanno deliberatamente escluso i socialdemocratici dalle trattative, con l’obiettivo di dare vita a una “maggioranza verde e progressista”.

La co-presidente del Partito verde europeo, Vula Tsetsi, ha festeggiato la “vittoria storica” di Welling e la sua alleanza verde-rossa, descrivendo la sua come “una campagna elettorale di successo incentrata sugli alloggi, le politiche per la famiglia e lo sviluppo verde“. Copenaghen diventa così la quinta capitale UE a guida ambientalista, dopo Riga (Lettonia), Amsterdam (Paesi Bassi), Budapest (Ungheria) e Zagabria (Croazia).

D’altro canto, l’SD ha riportato risultati al di sotto delle aspettative in tutto il Paese: ha perso 19 dei 44 sindaci uscenti, pur mantenendo il controllo di diverse grandi città. Anche se rimane il primo partito a livello nazionale, ha perso parecchio terreno scendendo dal 28,4 al 23,2 per cento delle preferenze. Decisamente meglio hanno fatto i liberal-conservatori di Venstre (V), scalzando i socialdemocratici come partito che esprime il maggior numero di sindaci (39, cinque in più rispetto al 2021). Nelle aree rurali si è affermata l’estrema destra, soprattutto quella dei Democratici danesi (DD).

A guidare gli elettori sono state sicuramente urgenze locali, su tutte il costo insostenibile degli alloggi (a Copenaghen gli affitti sono aumentati del 20 per cento nell’ultimo anno). Ma a spingere i cittadini ad affollarsi ai seggi – l’affluenza è aumentata rispetto a quattro anni fa, arrivando al 69,2 per cento, e in diversi casi le operazioni elettorali sono andate avanti ben oltre la fine ufficiale delle votazioni, fissata alle 20 – sono stati con ogni evidenza anche i grandi temi della politica nazionale.

La premier danese Mette Frederiksen (foto: Jeppe Carlsen via Imagoeconomica)

Soprattutto, sembra non aver pagato la linea dura adottata da Frederiksen sulla migrazione. La Statminister, tra i pochi capi di governo provenienti dalla famiglia socialista rimasti in UE, ha fatto del pugno di ferro contro gli esseri umani sgraditi un tratto distintivo del suo secondo mandato. Fino a saldare un asse innaturale con la premier italiana Giorgia Meloni – insieme alla quale ha messo in discussione la Convenzione europea sui diritti dell’uomo – e la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, che si è intestata da tempo la battaglia sui rimpatri degli immigrati irregolari.

Una svolta verso destra che a quanto pare non è piaciuta all’elettorato progressista dei grandi centri urbani. La leader socialdemocratica si è assunta “la responsabilità” per la debacle nelle urne: “Ci aspettavamo delle perdite, ma il calo è stato maggiore di quanto previsto“, ha ammesso, definendo come “non soddisfacente” il risultato del suo partito. Probabilmente, questo non metterà in discussione il suo governo. Ma fornisce sicuramente degli spunti di riflessione sulla strada da seguire in vista delle prossime elezioni politiche, che dovranno svolgersi entro ottobre 2026.

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