Dal vertice di Tianjin parte la sfida del Grande Sud globale contro l’egemonia occidentale

lentepubblica.it
Da giorni si continua a parlare del vertice di Tianjin, megalopoli dove sotto la guida del leader cinese Xi Jinping si sono riunite le Nazioni appartenenti alla Shanghai Cooperation Organization (SCO).
A fare rumore non sono stati tanto gli accordi pratici, comunque molto importanti considerata la sottoscrizione di progetti comuni su energia, economia digitale, spazio, intelligenza artificiale e Belt and Road Initiative (le nuove Vie della Seta).
L’attenzione, piuttosto, si è concentrata sulle implicazioni politiche, visto l’obiettivo dichiarato di affermare un nuovo ordine guidato dal cosiddetto Grande Sud globale, basato su una cooperazione multilaterale che metta al centro le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Un progetto in aperta opposizione al modello di governance euro-atlantico, rappresentato da consessi come il G7 o il G20, e fondato sin dall’inizio sull’egemonia degli Stati Uniti.
Chi partecipa alla Shanghai Cooperation Organization (SCO)
È difficile comprendere l’importanza geopolitica di quanto accaduto se non si conoscono gli equilibri in campo.
La SCO nasce nel 2001, per iniziativa di Cina, Russia e quattro Repubbliche ex sovietiche (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan). A questa Alleanza iniziale si sono poi uniti India, Pakistan, Iran e Bielorussia, portando a dieci i membri che ne fanno parte a pieno titolo.
Nel corso degli anni, il gruppo è riuscito a interpretare un ruolo sempre più influente, tanto da attrarre l’adesione di ulteriori Nazioni come partner del dialogo e osservatori, con l’entrata di Paesi legati anche ad altri organismi (Afghanistan, Arabia Saudita, Armenia, Azerbaijan, Bahrain, Cambogia, Egitto, Emirati Arabi, Kuwait, Maldive, Mongolia, Myanmar, Nepal, Qatar, Sri Lanka e Turchia).
Il peso politico ed economico della SCO
Se leggiamo questo elenco inforcando gli occhiali occidentali sembra dirci poco. Ma un approfondimento disegna un quadro che non può lasciare indifferenti.
I soli 10 Paesi riuniti nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai rappresentano l’80% del suolo terrestre e oltre il 40% della popolazione globale. Economicamente, nel 2001 valevano appena il 5% del Pil mondiale, mentre oggi ne rappresenta quasi il 25% (con 26.1 trilioni di dollari, rispetto ai 105.6 del Mondo, ai 30 delle nazioni G7 e ai 36 di quelle NATO).
Se a Cina, Russia e India si sommano anche le restanti economie emergenti dei Paesi BRICS (Brasile, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia, Iran e Sudafrica), si supera la metà del PIL mondiale.
I membri della SCO controllano circa il 20% delle riserve petrolifere nel Globo e il 44% di quelle di gas naturale. Poi c’è il continente africano, in gran parte già sotto la sfera di influenza russa e cinese, che fa salire ancora più in alto sia i parametri economici sia quelli demografici.
Un’ulteriore prevalenza si registra pure nell’ambito militare, aspetto non proprio secondario in un momento storico dove sono tornati a risuonare molteplici echi di guerre. Russia, Cina e India (che vantano secondo, terzo e quarto esercito più grande al Mondo) sommano quasi 5 milioni di effettivi, mentre l’insieme dei Paesi SCO può contare su un arsenale atomico di 6.339 testate contro le 5.792 della NATO.
Una galassia emergente, tra potere e contraddizioni interne
Ora, non che tutto fili così liscio. Gli equilibri tra Cina e India, ad esempio, risultano da sempre molto labili. Ci sono le numerose fibrillazioni sui 3.488 chilometri di confine, ancora lontane dall’essere risolte; eppoi la competizione per imporsi come faro-guida dell’economia orientale.
L’adesione del Paese dell’elefante alla SCO nel 2017 è stata favorita, poiché è chiaro che i numeri sopra evidenziati hanno rafforzato il peso dell’Alleanza; ma ciò non ha impedito ai governi indiani di mantenere rapporti privilegiati anche con l’Occidente, tanto che spesso sono considerati un cancro interno, che mina la stabilità e lo sviluppo della stessa SCO.
Proprio per questo l’inusuale e ostentata cordialità vista a Tianjin tra Xi Jinping e Mori lancia un segnale molto forte. Da più parti si ritiene che la prima causa sia da ricercare nella politica dei dazi imposta da Trump sull’India, che vanta un export verso gli USA di circa 120 miliardi di dollari annui.
La previsione di tariffe spinte fino al 50%, giustificate come ritorsione all’acquisto di petrolio dalla Russia, potrebbe incrinare la consueta propensione filo-occidentale di questo gigante asiatico, rischiando di trasformare quella che per ora appare essere un’alleanza tattica in una vera e propria adesione strategica agli interessi del neo-blocco orientale.
I prossimi anni ci diranno se le differenze politiche e gli interessi economici all’interno della SCO siano tanti e tali da impedirgli la leadership di un nuovo ordine mondiale. Oppure se, considerati anche i numeri evidenziati, il processo avviato risulterà ineluttabile.
Le difficoltà dell’Europa
L’Alleanza occidentale imperniata sui rapporti USA-Europa, che dal Dopoguerra si era imposta come principale arbitro dei destini mondiali, ha perso da tempo la sua egemonia politica ed economica. E, pure nel Vecchio Continente, sicuramente non sta aiutando la miope guerra dei dazi avviata dal Presidente americano.
Inoltre, numerose decisioni assunte dalla Casa Bianca in politica estera stanno logorando gli storici rapporti con i partener europei, ma anche con quelle parti del Mondo non-occidentale, solitamente in stabile collaborazione strategica con gli USA (si pensi, appunto, all’India; o alla Turchia, addirittura membro NATO), che ora non disdegnano di strizzare l’occhio al nuovo scenario che si va affermando a Oriente.
Dentro questo scenario, l’Europa appare più che mai come un gigante dai piedi di argilla; situazione che aumenta la preoccupazione dei suoi cittadini.
Secondo l’ultimo sondaggio Eurobarometro del Parlamento europeo, il 68% vuole che l’UE assuma un ruolo più importante nella protezione dalle crisi internazionali. La quasi totalità chiede agli Stati membri di affrontare insieme le sfide globali attuali (90%) e una forte maggioranza ritiene che l’UE abbia bisogno di più mezzi per prevalere in un panorama geopolitico in rapida evoluzione (77%).
Sarà necessario, ma è difficile che sia anche sufficiente.
Piaccia o meno c’è un’altra parte del Pianeta che chiede spazio; e gran parte se lo è già conquistato a colpi di sviluppo economico e crescita demografica.
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