Due sentenze della Cassazione definiscono i confini dei controlli in azienda

Settembre 15, 2025 - 16:30
 0
Due sentenze della Cassazione definiscono i confini dei controlli in azienda

lentepubblica.it

Due sentenze, entrambe della Corte di Cassazione, pronunciate a brevissima distanza una dall’altra, hanno definito e circoscritto in questo inizio di settembre la legittimità della condotta e dei licenziamenti in azienda operati in seguito a controlli e investigazioni.


Si tratta di due casi con due esiti opposti del ricorso, che però tracciano con chiarezza i limiti dei controlli aziendali e la liceità degli stessi.

Due pronunciamenti, due ordinanze

La recente ordinanza n. 24564 del 4 settembre 2025 è l’epilogo di una vicenda che ha riguardato un letturista licenziato per giusta causa i cui comportamenti illeciti erano stati portati alla luce da un detective assunto dall’azienda. Sempre il 4 settembre 2025, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha depositato l’ordinanza n. 24558 con la quale ha ordinato il reintegro e un risarcimento di dodici mensilità per un lavoratore accusato di aver abusato dei permessi della legge 104/92. Anche in questa occasione l’azienda si era avvalsa di investigatori privati ma aveva nascosto al proprio dipendente il report ottenuto con i suoi pedinamenti. Le prove della condotta illecita sono state rivelate solo durante la causa in tribunale. Per la Suprema corte questo licenziamento è divenuto illegittimo configurandosi la violazione del diritto di difesa del lavoratore.

Gli investigatori privati

La Cassazione ha dunque nella stessa giornata, confermato la legittimità del controllo per le attività dei lavoratori con incarichi esterni, che svolgono i propri compiti al di fuori delle mura aziendali, ma ha nello stesso tempo sancito un importante principio di trasparenza e garanzia ricordando come il risultato di tali indagini debba essere condiviso col dipendente oggetto di inchiesta.

Le due vicende nello specifico

Al fine di avere più chiarezza su entrambe le vicende esaminiamo i due casi che hanno dato origine alle due sentenze in oggetto. La prima vicenda riguarda un lavoratore che svolgeva la propria attività lavorativa completamente in esterna, occupandosi di verificare dati e letture di contatori e compiti simili. L’azienda aveva registrato in capo a questo lavoratore un rendimento molto scarso nel corso dell’intero 2019, con risultati al di sotto degli obiettivi assegnati e con un grande scostamento rispetto alle performance dei colleghi. A questo i vertici aziendali avevano avviato una inchiesta disciplinare e assunto un detective al fine di controllare l’operato del lavoratore avviando una vera e propria indagine approfondita sulla sua condotta nell’intero anno successivo. In sospetto dell’azienda non derivava da antipatie o vicende personali, ma – secondo quanto poi ribadito dalla Corte, poggiava su elementi solidi che giustificavano un controllo più attento.

Controllo che aveva appunto dato origine ad una attività dell’agenzia investigativa lungo tutto il secondo semestre del 2020.  Le prove raccolte dal detective hanno del tutto confermato i dubbi de vertici aziendali, documentando una serie di condotte gravemente illecite.

I comportamenti illeciti

Il lavoratore è stato colto in più occasioni a recarsi luoghi completamente estranei ai suoi compiti durante l’orario di servizio e a rimanere per lunghi periodi inattivo seduto nell’auto aziendale senza alcuna plausibile giustificazione. Ad aggravare queste azioni, il comportamento di recarsi a svolgere compiti lavorativi senza indossare la divisa preposta e la comprovata abitudine ad avviare l’inizio dell’attività lavorativa, tramite timbratura virtuale da remoto, molto prima di uscire di casa. Lo stesso accadeva all’uscita, quando il lavoratore ‘timbrava’ dal palmare aziendale molto dopo essere rientrato alla propria abitazione.

Inutili le obiezioni

Inutili le obiezioni poste dalla difesa del lavoratore, che ha tentato di contestare i tempi dell’azione disciplinare. La Suprema Corte ha ritenuto inappuntabile l’operato dell’azienda fissando un precedente di grande portata, decretando che un lavoratore che svolga la sua mansione all’esterno dei locali aziendali possa essere oggetto di pedinamento da parte di un investigatore privato. Inoltre ha chiarito che la riprova della condotta fraudolenta può legittimamente dare adito a licenziamento per giusta causa.

Permessi e legge 104

La seconda vicenda citata in incipit, ruota attorno ad un altro licenziamento per giusta causa conseguenza, anche in questo caso, di un’indagine commissionata dall’azienda. Il dipendente era stato accusato di utilizzare i permessi per l’assistenza ai genitori non autosufficienti, concessi ai sensi della legge 104, in maniera illecita, per svolgere attività di proprio interesse. Anche in questa occasione l’azienda aveva sguinzagliato investigatori privati. Gli accertamenti avevano dato luogo ad una relazione disciplinare.

L’errore procedurale

È questo punto, però, che si configura un grave errore procedurale del datore di lavoro. Il lavoratore aveva richiesto formalmente di prendere visione della relazione degli investigatori, ma la sua richiesta non aveva ricevuto alcuna risposta. Secondo la Suprema Corte, questa omissione è così grave da compromettere l’esito del procedimento. Infatti la contestazione di un addebito disciplinare, per di più di tale gravità da portare fino al licenziamento, deve riportare in modo specifico i fatti e deve permettere all’accusato di preparare una difesa adeguata. Tenere nascosto il report e utilizzarlo solo davanti al Giudice non è accettabile poichè compromette totalmente il diritto di difesa del lavoratore, rendendo l’intero procedimento nullo.

Altri elementi non convincono

In aggiunta, nel caso specifico, a indebolire la posizione dell’azienda hanno concorso altri due elementi. È emerso dall’analisi processuale come l’azienda non avesse mai esercitato il proprio potere di coordinamento per concordare con il dipendente i giorni e gli orari di fruizione dei permessi, come avrebbe potuto fare per tutelare le proprie esigenze di servizio e di continuità produttiva. I giudici hanno ritenuto che non si potesse accusare il lavoratore di scorrettezza per aver comunicato la fruizione dei permessi in orari notturni o festivi dato che a causa di una mancanza dell’azienda stessa non esisteva una diversa pianificazione capace di rispondere alle esigenze dei lavoratori. In aggiunta l’incapacità del datore di dimostrare che il personale dell’agenzia investigativa fosse autorizzato a svolgere quel tipo specifico di attività. Un’incertezza che ha sollevato molti sulla validità stessa delle prove raccolte. In secondo luogo, L’assistenza non è solo stare a fianco

Un chiarimento in merito alla 104

La sentenza in oggetto, inoltre si caratterizza per offrire un fondamentale chiarimento sulla natura dell’assistenza prevista dalla legge 104. I giudici in questa occasione hanno ricordato che non deve essere necessariamente diretta e continuativa. Il tempo impiegato a sostegno dei familiari può consistere anche in attività di supporto indiretta, come fare la spesa per il disabile o acquistare per lui le medicine necessarie. Questa interpretazione amplia la visione dell’assistenza, riconoscendo le molteplici necessità pratiche che essa comporta.

Le sfide del futuro

Due decisioni dunque, che tracciano un chiaro solco su quale procedere ma che ci ricordano come i tempi cambiano, mutano le forme e le modalità con le quali si presta la propria opera. Tra le molte sfide che ci pone il futuro del lavoro c’è di certo quella di bilanciare l’esigenza di controllo con il rispetto di una privacy che non può essere annullata semplicemente perché si lavora da remoto oppure si timbra un cartellino virtuale.

The post Due sentenze della Cassazione definiscono i confini dei controlli in azienda appeared first on lentepubblica.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News