India e Cina guidano la crescita irreversibile delle rinnovabili su scala globale

Ottobre 17, 2025 - 09:30
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India e Cina guidano la crescita irreversibile delle rinnovabili su scala globale

Donald Trump sostiene che stiano «distruggendo gran parte del mondo libero», Giorgia Meloni le snobba e preferisce concentrare il dibattito su tecnologie disponibili tra decenni (la fusione nucleare), ma le energie rinnovabili sono diventate grandi e non hanno intenzione di fermarsi. 

Lo dicono i dati sui mix energetici nazionali e la produzione elettrica, gli investimenti in ogni angolo della Terra e i prezzi sempre più bassi: per rendere l’idea, oggi il fotovoltaico costa il novanta per cento in meno rispetto al 2015. L’eolico e il solare non sono più le cenerentole dell’energia, ma il presente e il futuro di un pianeta che sta faticosamente cercando di smarcarsi dai combustibili fossili, responsabili del cambiamento climatico. 

Un recente report di Ember, uno dei più autorevoli think tank energetici al mondo, ha mostrato che il cambio di passo è reale e, soprattutto, inarrestabile. Nei primi sei mesi di quest’anno, la domanda mondiale di elettricità ha vissuto un incremento del 2,6 per cento (+369 terawattora) rispetto allo stesso periodo del 2024, e l’energia del sole e del vento è riuscita a coprire per intero questa crescita. L’eolico e il solare sono migliorati a una rapidità tale da reggere l’aumento della domanda di energia, iniziando così a sostituire le fonti “sporche”, che emettono gas serra (anidride carbonica, metano e così via) nel momento in cui vengono bruciate per produrre elettricità. 

A questo proposito, prosegue il report, le rinnovabili hanno generato più elettricità del carbone a livello globale: è la prima volta che succede. Entro il 2026, secondo le previsioni delle Nazioni unite, questo fenomeno sarà visibile nell’intero arco dei dodici mesi: sarà un «punto di svolta irreversibile» nell’intricata trama della transizione energetica. 

ember-energy.org

Intervistato dal Washington Post, Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) ha detto che «nessuno può fermare la transizione energetica. Nessuno. Nessun Paese, nessuna persona». È un messaggio chiaramente rivolto a Donald Trump, che sta cercando di smantellare l’Inflation reduction act (Ira) e tutte le altre norme climatiche approvate dall’amministrazione di Joe Biden. 

La settimana scorsa, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha quasi dimezzato le sue previsioni di crescita delle rinnovabili negli Stati Uniti, anche per colpa della decisione di Trump di bloccare una serie di incentivi fiscali per agevolare la transizione alle energie pulite delle famiglie a basso e medio reddito. L’amministrazione repubblicana ha cancellato decine di miliardi di dollari in progetti dedicati a pannelli solari, colonnine di ricarica per le auto elettriche, batterie, stoccaggio energetico e molto altro.

La frenata americana è stata confermata anche dal sopracitato report di Ember. Nei primi sei mesi del 2025, gli Stati Uniti hanno rappresentato il quindici per cento della domanda globale di elettricità, emettendo il dodici per cento dei gas serra del settore energetico. Il solare e l’eolico sono cresciuti a un ritmo inferiore della domanda energetica, coprendo solo il sessantacinque per cento dell’aumento. «La produzione di energia a carbone è aumentata per colmare il divario e ha anche parzialmente sostituito il gas, determinando un aumento delle emissioni», sottolinea il think tank. 

Trump ha subordinato la riduzione dei dazi contro l’Unione europea a un accordo sull’acquisto di gas naturale liquefatto (Gnl) e petrolio dagli Stati Uniti. Come se non bastasse, diverse indiscrezioni giornalistiche sostengono che Washington stia esercitando forti pressioni per convincere Bruxelles a sgonfiare ulteriormente la sua legislazione ambientale, in particolare nei punti che obbligano le aziende extra-Ue a comunicare le proprie performance climatiche. Trump è convinto che questa regolamentazione imponga oneri economici e normativi eccessivi, minando la capacità delle aziende statunitensi di competere sul mercato europeo. In cambio, la Casa Bianca sarebbe disposta a essere più clemente con i dazi sui prodotti europei venduti negli Stati Uniti.

Nella prima metà del 2025, l’Unione europea ha generato l’8,8 per cento dell’elettricità globale e il quattro per cento delle emissioni attribuibili al settore energetico. A differenza degli Stati Uniti, l’energia solare è cresciuta più rapidamente rispetto all’incremento della domanda. Preoccupano, tuttavia, le «cattive condizioni» dell’eolico e dell’idroelettrico, responsabili di un calo della generazione rinnovabile e di un conseguente aumento delle emissioni totali dei Ventisette Stati membri. 

A livello generale, l’Unione europea è comunque sulla buona strada per rispettare il target al 2030 sulla riduzione delle emissioni nette di gas climalteranti (-55 per cento rispetto al 1990). Secondo i calcoli della Commissione europea, entro la fine del decennio riusciremo a tagliare la nostra produzione di gas serra del cinquantaquattro per cento. Al momento siamo a quota -37 per cento, ma il Green deal è stato fortemente ridimensionato e non ci sono grandi miglioramenti all’orizzonte. 

Considerando i tentennamenti europei e l’inversione di tendenza americana, viene da chiedersi da dove derivino i dati incoraggianti sullo sviluppo globale delle energie pulite. La risposta risiede soprattutto nella Cina e nell’India, che secondo i parametri della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale sono due economie in via di sviluppo. 

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Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la Cina è «sulla buona strada» per guadagnare dalle esportazioni di cleantech più di quanto gli Stati del Golfo abbiano incassato dalla vendita di petrolio nel 2024. Pechino controlla una quota dell’ottanta-novanta per cento della produzione globale dei minerali critici (rame, litio, nichel, cobalto, terre rare), fondamentali per costruire le batterie delle auto elettriche, i pannelli solari e altre tecnologie alla base della decarbonizzazione dei nostri settori economici. Il suo è un monopolio lungo tutta la filiera: dall’estrazione alle esportazioni, passando dalla raffinazione e dalle altre fasi di lavorazione. 

Il presidente Xi Jinping ha recentemente annunciato il primo piano cinese sulla riduzione delle emissioni climalteranti: l’obiettivo è tagliarle del sette-dieci per cento entro il 2035. È una riduzione insufficiente, ma impensabile fino a dieci anni fa. Nella prima metà di quest’anno, secondo Ember, la Cina ha coperto con le rinnovabili l’intera crescita della domanda di energia elettrica, tagliando la sua produzione fossile e le relative emissioni. I numeri disegnano un dominio su ogni fronte: Pechino ha contribuito al cinquantacinque per cento della crescita globale dell’energia solare, all’ottantadue per cento dell’eolico e al settantatré per cento del nucleare. 

Anche (ma non solo) grazie agli investimenti della Cina all’estero, tanti altri Paesi nel mondo stanno scoprendo i benefici economici delle rinnovabili. Il Brasile oggi produce più energia solare della Germania, mentre il Pakistan, in soli sei anni, ha importato una quantità di pannelli solari sufficiente a coprire – sulla carta – l’intera capacità elettrica nazionale.

Su questi canali abbiamo spesso parlato delle rinnovabili in Africa: i pannelli solari di fabbricazione cinese stanno già illuminando case, aziende e ospedali situati in zone scollegate dalla rete e soggette a costanti blackout. «Le rinnovabili non sono una truffa. Anzi, hanno salvato vite umane. Hanno migliorato l’industria. Per l’Africa, e per il mio Paese, rappresentando un impulso enorme. La domanda continuerà a crescere», dice Melvin Sackie, Ceo e fondatore di un’impresa fotovoltaica della Liberia, al Washington Post. Nel Paese africano, negli ultimi dodici mesi, le importazioni di energia solare sono triplicate. 

Infine, ecco l’India. Secondo Mukesh Ambani, amministratore delegato di Reliance Industries Limited (la più grande azienda privata indiana), il Paese ha le carte in regola per diventare «un’alternativa credibile» alla Cina nella produzione delle tecnologie alla base della transizione energetica. Metà delle centrali elettriche a gas indiane è attualmente ferma, non in funzione. Infatti, i grandi imprenditori indiani sono convinti che le rinnovabili costituiscano un’opportunità più economica e affidabile rispetto ai combustibili fossili. E stanno già modificando i loro business plan. In più, l’elettrificazione dei trasporti sta consentendo a Nuova Delhi di ridurre la sua dipendenza dal petrolio straniero. 

I numeri di Ember confermano l’incoraggiante traiettoria imboccata dall’India, che – nei primi sei mesi del 2025 – ha rappresentato il 6,2 per cento della domanda globale di elettricità e il 9,1 per cento delle emissioni. Parallelamente, l’aumento dell’eolico e del solare ha superato di tre volte la crescita della domanda di energia. Quest’anno l’India ha inaugurato un numero record di impianti fotovoltaici e parchi eolici, limitando la sua dipendenza del carbone. Nuova Delhi genera il 9,2 per cento della sua elettricità grazie all’energia solare (7,4 per cento nel primo semestre del 2024). Anche la quota dell’eolico è migliorata, passando dal quattro per cento a 5,1 per cento. La mappa della transizione energetica globale sta definitivamente cambiando.

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