Roberto Cipresso miglior enologo 2025 celebra il vino che dà voce ai silenzi

Vivace, appassionato, competente, divisivo, colto, riflessivo, dinamico, capace di cogliere opportunità e di costruire sinergie: la personalità di Roberto Cipresso è multiforme e sfaccetata, non è un uomo che lascia indifferenti e non è un enologo che piace a tutti. Ma tutti ne colgono l’animo inquieto, la mano sicura, la determinazione verso l’obiettivo e l’indubbia capacità di costruire nuove strade. Non stupisce dunque che arrivato a sessant’anni, nell’ambito delle celebrazioni di Bibenda, storica guida di vino, grappe e olio, sia stato premiato come miglior enologo 2025 agli Oscar del Vino. Ma considerando la situazione attuale del mondo del vino, è un premio che va oltre la celebrazione di una carriera: segna un momento simbolico nella storia dell’enologia italiana.
Da quasi quarant’anni Cipresso attraversa territori, paesaggi e comunità con uno sguardo che unisce tecnica, sensibilità e consapevolezza. La sua figura si inserisce nel solco di una tradizione che ha visto l’enologo evolversi da semplice tecnico di cantina a interprete culturale del vino. È stato il primo a fare molte cose, in ambito enologico, e il primo a cogliere la potenzialità di un settore che aveva necessità di cambiare per mantenere la sua grandezza. La storia recente gli ha dato ragione, con tanti interpreti che hanno aperto con lui la strada a un ruolo nuovo, capace di coniugare ricerca, visione e una particolare attenzione al rapporto tra uomo, terra e identità: il consulente enologico è un ruolo nato con lui, e che lui ha forgiato a sua immagine, costruendo la sua cantina e portando avanti le sue idee, ma rimanendo a disposizione di chi aveva voglia di sperimentare e di trovare spunti, insegnamenti, tecniche. Oggi l’enologo è chiamato a essere molto più che un progettista di profili organolettici: è un custode di biodiversità, un narratore di luoghi, un mediatore tra passato e futuro. Ed è proprio dentro questa cornice che si comprende il valore del premio assegnato a Cipresso. Nel commentarlo, l’enologo parla di un «nuovo tempo», un’espressione che segna un cambio di passo nella consapevolezza di cosa significhi produrre vino in un mondo fragile, attraversato da tensioni, guerre, cambiamenti climatici e crisi sociali.
Questa sensibilità trova una delle sue espressioni più compiute nel progetto Wine of Silence, presentato come un viaggio alla radice del vino, lontano dalle mode e dalle semplificazioni che tendono a ridurre tutto a etichette, filoni e schieramenti. L’intuizione è semplice e potente: il vino può diventare un mezzo per dare voce a territori che non ne hanno, un ponte tra chi coltiva in condizioni estreme e chi, stappando una bottiglia, sceglie di ascoltare quella storia. Wine of Silence nasce per sostenere la viticoltura di frontiera, quella che resiste in zone segnate da conflitti, crisi o abbandono. L’Ucraina, con i suoi ventisette secoli di viticoltura che sopravvivono anche alla guerra, è uno degli esempi più forti. Qui il vino non è soltanto un prodotto, ma un atto di resilienza: la vite diventa un simbolo di continuità grazie a chi continua a curarla nonostante tutto.
Parallelamente, il progetto lavora per preservare la biodiversità viticola, riportando l’attenzione su varietà autoctone che rischiano l’estinzione. Il vivaio-santuario delle piante madri, descritto sul sito di Roberto Cipresso, è un archivio vivente, una sorta di memoria vegetale che custodisce identità, adattamenti e storie, che l’enologo ha da sempre sostenuto e ha bene in evidenza nella sua cantina, diventata anche museo di terreno e di biodiversità. È un modo per dire che il futuro del vino nasce dalla protezione del suo passato più fragile. Wine of Silence si fonda anche su un’idea di solidarietà concreta. I vignaioli coinvolti non ricevono soltanto competenze o visibilità, ma un sostegno reale: la dignità del loro lavoro viene riconosciuta, condivisa, sostenuta. Ogni bottiglia è pensata come testimonianza liquida, un racconto che viaggia oltre i confini geografici per ricordare che il vino, prima ancora di essere un piacere, è una storia da ascoltare e condividere.
La dimensione internazionale del progetto, che coinvolge anche Armenia, Spagna, Argentina e Stati Uniti, costruisce una rete di ambasciatori capaci di portare queste narrazioni nel mondo, aiutando allo stesso tempo a mantenere e far progredire la viticoltura nel mondo. È un modo di pensare il vino in cui il gusto è inteso come atto culturale, capace di creare relazione, memoria e comunità. Wine of Silence è esattamente questo: un invito a degustare con consapevolezza, a lasciarsi attraversare da un racconto, a riconoscere il peso specifico del silenzio dentro un calice.
Il premio a Roberto Cipresso diventa così un segnale per tutto il mondo del vino italiano. Indica che il futuro non sarà determinato soltanto dal mercato o dalle mode, ma dalla capacità di comprendere il vino come esperienza completa: agricola, culturale, umana.
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