Una critica cyberfemminista al sessimo radicato nei videogiochi

Novembre 27, 2025 - 15:00
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Una critica cyberfemminista al sessimo radicato nei videogiochi

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Quando era bambina Cassie McQuarter passava notti intere accanto alla nonna insonne e la guardava giocare a Zelda. Un’esperienza che, notte dopo notte, ha fatto maturare in lei l’idea che i videogiochi fossero uno strumento di connessione, e un rito condivisibile tra le diverse generazioni. «Quei giochi, in effetti, erano come le mie favole della buonanotte, al punto che si sono radicati nella mia mente come luoghi in cui la magia poteva esistere», racconta. Crescendo, la sua visione è maturata. La passione per il gaming si è sviluppata, portandola a riflettere su come sia, sì, una forma di intrattenimento, ma anche un dispositivo culturale, uno spazio di resistenza e – in qualche modo – una forma di mito. Oggi la sua ricerca si muove tra installazioni interattive, opere video e browser games, e ogni progetto parte sempre da un’attenta osservazione delle dinamiche che regolano l’immaginario videoludico.

Nel 2019 ha vinto il Nuovo Award all’Independent Games Festival con Black Room, un videogioco di ruolo femminista che ripensa l’estetica dei vecchi arcade. Uno dei suoi lavori più importanti è Halo (2016), un’opera video composta da sei “dipinti animati” che inscenano una collisione tra due mondi apparentemente distanti: la saga fantascientifica Halo e il videogioco erotico Dream Stripper. In un flusso di loop animati, i soldati della space opera muoiono e rinascono senza sosta, mentre le avatar femminili – solitamente relegate al ruolo di puri e semplici oggetti sessuali – si muovono in posture ambigue, a metà strada tra la danza e il combattimento. Mentre tutt’attorno a loro fluttuano sedie da pranzo, pesci koi, pinball, cuscini, e fiori, come in un sogno.

Courtesy of the artist

Con il suo lavoro McQuarter decostruisce i luoghi più radicati della cultura videoludica. Se da un lato la ripetizione delle death animations sottolinea la banalizzazione della morte nei videogiochi, dall’altro la posa artificiale dei corpi femminili – spesso erotizzata fino al ridicolo – rivela quanto sessismo sia incorporato in animazioni apparentemente neutre. McQuarter estrapola questi modelli dal loro contesto originario, e gli dà un senso nuovo: privati della logica del gameplay, diventano reliquie, icone moderne che rivelano l’assurdità dei codici culturali che hanno strutturalmente consentito e sostenuto la loro proliferazione.

Per McQuarter il videogioco è un nuovo tipo di folklore, una forma narrativa capace di veicolare valori morali e immaginare scenari collettivi, come le fiabe. Oggi, dalla sua base a Los Angeles, l’artista continua a intrecciare critica femminista, estetica pop e memoria, per fare emergere e contribuire a relativizzare gli stereotipi dei prodotti culturali, rivelando le potenzialità poetiche e politiche dei videogiochi. Per questo motivo nei suoi tableaux digitali i personaggi femminili assumono un’aura mistica, eterea: figure imprevedibili che sfuggono al controllo dei loro burattinai.

Courtesy of the artist

 

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Redazione Redazione Eventi e News